
E’ da poco passata la mezzanotte. M. è in camera sua, steso sul letto guarda il soffitto, e gioca con un pallina da tennis; si passa le mani trai capelli ricci e neri come la pece. Non ha pace, decide di uscire. Una semplice passeggiata, ma sa benissimo dove vorrebbe andare. I piedi lo portano fino al Greenwich village, un attimo. Passa davanti ad un locale, lo Stonewall Inn. Lì dentro ci sono i ragazzi, quelli come lui. Troppa è la paura di entrare così fa un giro dell’isolato, ma inevitabilmente finisce davanti a quella porta. Un respiro profondo, chiude gli occhi ed entra.
Musica, risate, un bancone, tavolini, due uomini vestiti da donna (fuori sono “i pervertiti”, lì semplicemente Drag Queen) cantano sul palchetto; con la coda dell’occhio vede due uomini che si tengono la mano. Il cuore in gola. Più indietro altri due si accarezzano.
-Cosa vuoi ragazzo?
-Una cola grazie. Il barista sorride.
La musica cambia. Escono le Drag ma le risate restano. La cola è quasi finita. Il prossimo giro sarà un bourbon, si dice.
Un rumore alla porta: poliziotti. Il ragazzo è ammanettato. E’ di nuovo un pervertito.
Sylvia questa volta non resiste, non è trascorsa nemmeno una settimana dall’ultima retata, prende la prima cosa che si trova di fianco, una bottiglia, e la lancia contro uno degli uomini in divisa.
Non è l’unica, non è sola: quel giorno i ragazzi del Greenwich village non ci stanno, non accettano l’ennesimo sopruso, non dopo la morte di Judy, Judy Garland. Scendono in piazza.
Siamo così, non siamo pervertiti, siamo orgogliosi di essere come siamo. Siamo gay e lo diremo al mondo.
We are the Stonewall girls
We wear our hair in curls
We wear no underwear
We show our pubic hair
We wear our dungarees
Above our nelly knees!
Mille persone si radunarono davanti al bar, le proteste durarono sei giorni.
Nacque così il movimento per i diritti dei gay.
Buon 28 giugno a tutti, a me piace pensare che sia andata (anche) così.