Diario di una Lella – Se una notte d'inverno…- S01E05

Questa storia comincia in una stazione ferroviaria, con una ragazza che arriva ed un treno che è appena partito. La stazione è la classica banchina infinita, con qualche pensilina, dei posti a sedere ed una biglietteria automatica proprio fuori dai tornelli. Insomma la classica stazione di provincia. Non ci sono bar, solo i tabelloni gialli dove controllare gli orari. I treni sono sempre puntuali, la viaggiatrice un po’ meno: forse è per questo che ha appena perso il treno. Quella viaggiatrice sono io, sconosciuta e sola… perchè i nativi sono puntuali, conoscono perfettamente gli orari e sanno perfettamente che alle 16:52 non c’è nessun treno che porta in città e che è piuttosto inutile aspettare il prossimo sotto questo cielo che minaccia pioggia dalla mattina. Accendo l’mp3, potrei avere fretta oppure no: è il vantaggio di essere sola, di poter assumere qualsiasi espressione facciale senza che nessuno gli dia una vera interpretazione. Aspetto come si aspetterebbe il prossimo treno: non c’è modo di sperare in un ritardo né di lamentarsene. Alle 16:51 il treno è ripartito, esattamente come previsto, ed io non ero pronta per salirci.

I binari sono umidi ed il cielo è grigio, verso le 16:58 arrivano i prossimi viaggiatori. Tutte facce sconosciute, forse tra loro si saranno incrociati almeno una volta, forse si riconoscono, mi riconoscono. Ma la verità è che io non li riconosco e questa incertezza lascerebbe spazio a tanta immaginazione se non fosse che il loro piccolo muso sconosciuto sta costantemente schiacciato sullo schermo del cellulare. Una piccola fila indiana di visi illuminati artificialmente.

Non porto borse né valigie, solo una giacca con mille tasche. La mia destinazione potrebbe essere qualunque luogo o nessuno in particolare: è il vantaggio di non saperlo affatto. Potrei essere disposta a farmi una passeggiata o ad incontrare qualcuno. Potrei essere cono qualcuno, o qualcuno con me. E questa seconda ipotesi darebbe un senso a questo racconto. Perciò facciamo che girerò la testa, in un preciso istante della storia, la girerò alla mia destra, cercando il suo sguardo nero e profondo, i lineamenti adulti ed i capelli scuri. Magari le dirò qualcosa e lei sorriderà o sbufferà, magari invece non dirà nulla o non ci sarà nessuno alla mia destra. Agli occhi di quegli sconosciuti, probabilmente, apparirò stanca e leggermente miope, e allora forse l’ipotesi di un caffè in centro potrebbe rivelarsi una concreta alternativa al pomeriggio in casa. Non sappiamo ancora ( me compresa ) chi incontrerò una volta che il treno sarà arrivato ad Amsterdam Centraal alle 17:23, se mai incontrerò. Quello che nessuno sa, me compresa, è che verso le 18:00 arriverò forse al Café Belgique, e per puro caso due signori inizieranno  a suonare dal vivo.

Che musica suoneranno? Come sarà il locale? Inizierà a piovere? Mi divertirò?

Sono tutte domande che nel momento esatto in cui sto aspettando il treno, non esistono: riguardano un evento che ancora non si è creato nella linea temporale. Un gatto di Schrödinger degli eventi, un sabato nebbioso ed indefinito.

Probabilmente, a Roma, non avrei nemmeno preso il treno o forse non sarei proprio uscita. Ma esisterà poi questo Café Belgique? E servirà un buon caffè? O avranno solo birra? Mi convincerà a rimanere li, a sedere fuori, perchè dentro non c’è posto?

E’ possibile che voi stiate già immaginando questo locale ( o che invece non ve ne freghi un cazzo e sperate che questo racconto finisca il più presto possibile ), magari piccolo e  moderno o grande ed affollato; posso io dirvi quale di queste opzioni sia quella reale? Ed anche se fosse, cosa capireste della mia descrizione? Il dramma della comunicazione. Ogni opzione sarebbe valida quanto la mia. E la mia inconsistente quanto la vostra, perchè, ricordiamocelo, io sono ancora ferma alla stazione, ed il Café Belgique ufficialmente non esiste. Non esistono i due musicisti, né il gruppo di portoghesi ed italiani seduti accanto a quella me, lì fuori.  Non esiste Gonzalo, in cerca di una fidanzata; nemmeno il matrimonio tra quei due innamoratissimi della comitiva esiste. E tutta questa improbabilità ed incertezza diventerebbe magica qualora si potesse realizzare.

Allora il café Belgique servirebbe ottime birre belga, mentre i due musicisti suonerebbero dell’ottimo blues, in questo locale un po’ all’antica. Ed io potrei sedere lì fuori, sulla panca, sotto alla lampada rossa che riscalda, con una birra in mano, scherzando con un gruppo di italo-portoghesi, come se li conoscessi da sempre. Poi si potrebbero aggiungere due ragazze israeliane, ed io, si, mi ubriacherei volentieri un po’. Penserei a quegli occhi scuri ogni tanto, perchè farebbe piacere condividere le novità e gli imprevisti con qualcuno dagli occhi pieni di nero.

Ed alle 20:20 poi? Che si farebbe?

Forse andrei a mangiare in un ristorante. Però non italiano, magari brasiliano o forse Etiope. Che poi, io amo la cucina etiope, perciò perchè non potrebbe succedere? E? molto probabile che , sbadata come sono, mi dimenticherei di andare al bagno prima di tornare a casa, o che la batteria del telefonino si scarichi prima del previsto. Intanto, però, ho più del 60% di carica, e di certo… quanto voglia che ci metta a farmi due passi e prendermi giusto un caffè?

Se una notte d’inverno un viaggiatore..

Tutte le grandi storie dovrebbero iniziare così. Ieri però non era inverno, non c’era un viaggiatore né tantomeno Italo Calvino a raccontare la storia.

 

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