Se questa è vita

Udite udite! Molto presto negli Stati Uniti gli omosessuali e i bisessuali avranno di nuovo la possibilità di donare il sangue, possibilità revocatagli nel 1983, all’alba della triste epidemia di Hiv. Qui il comunicato stampa (clicca sull’immagine per leggere):

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All’inizio degli anni Ottanta, non esisteva alcun metodo per attuare degli screening volti a garantire l’assenza del virus dal sangue, pertanto si decise semplicemente di bandire a vita i soggetti definiti “a rischio”. Gli omosessuali, i froci, i finocchi, i recchioni, i busoni. Chiamateci come vi pare, ormai ci siamo abituati.

A quanto pare, stereotipi e clichè sono molto più potenti di scienza e statistica. Al giorno d’oggi, i test di screening per controllare le sacche di sangue rivelano la presenza di Hiv già dopo soli nove giorni dall’infezione. Sorprendente, se pensate che fino a pochi anni fa ci volevano tre mesi (sei mesi per la certezza assoluta). Al giorno d’oggi però, non esistono più soggetti “a rischio”. Praticamente il 50% dei soggetti sieropositivi è omosessuale. Questo a cosa ci fa pensare? Perché si è dovuti arrivare nel 2015 negli Stati Uniti per aggiungere questo importante tassello all’uguaglianza di diritti? Che cosa ha ostacolato per tutto questo tempo la FDA (Food and Drug Administration) nel mettere in atto questo provvedimento? Perché gli omosessuali sono considerati tutt’ora i “diversi”?

Gay_Blood_by_tiredbeesUn bambino nasce in una famiglia medio-borghese, una famiglia come tante, con una casa con giardino e cane. Cresce, costruisce le sue amicizie e alle scuole medie (alle elementari per i più precoci) comincia a guardare i suoi amichetti con occhio diverso, in un modo che per il momento nemmeno lui sa definire. Fatto sta, che ora le gare a “chi fa la pipì più lontano” non sono solo una sfida contro le leggi della natura, ma anche un pretesto per atti e pensieri cosiddetti impuri. Finiscono le scuole medie che, questo bambino, ormai ragazzo, sta incominciando sempre più a realizzare la sua attrazione verso i maschietti. Comincia il liceo, magari va in un’altra città, più grande, più viva, più aperta, lontana dal suo paesello, lontano dalla sua famiglia, famiglia dove ogni singolo membro, dalla nonna novantottenne al cuginetto di un anno e mezzo, aspetta con ansia la presentazione della famigerata fidanzata. Questo ragazzo conosce un amico un po’ particolare, che dice di essere “gay dichiarato” e comincia a farsi domande mai fatte prima, come: “Devo dichiararmi? Ma non sono fatti miei? Perché gli altri devono sapere? Che sto facendo di male?”. Cominciano le notti insonni, le angosce, la paura, il timore di essere sospettato di qualcosa per aver fissato per troppo tempo un compagno di classe nello spogliatoio, prima dell’ora di educazione fisica.

Il nostro ragazzo comincia a chiudersi in se stesso, a negare ciò che è, a far caso sempre di più a questi ragazzi un po’ particolari, i “gay dichiarati”, che nella sua scuola si possono contare sulle dita di una mano, ma che tutti conoscono e tutti ne hanno da (ri)dire. “Non voglio essere come loro. Non voglio essere lo zimbello di tutti. Alla fine le ragazze non mi fanno schifo. Me ne troverò una anche io”. Continuano le notti insonni, finché non arriva improvvisamente, durante il terzo liceo, un ragazzo nuovo, trasferitosi in città. Il nostro ragazzo perde completamente il lume della ragione, perennemente ubriaco di attrazione nei suoi confronti. Qui comincia il bello. “Provarci? Non provarci? E se cominciasse a prendermi in giro?”. Il nostro ragazzo ci prova, tra incertezze e angosce varie. I due ragazzi legano, in poco tempo diventano inseparabili ed un giorno, improvvisamente, scatta il primo bacio, indescrivibile, emozionante, semplicemente meraviglioso. Per un po’ di tempo va tutto meravigliosamente, finché il nostro ragazzo comincia ad essere sempre più paranoico, non vuole farsi vedere dagli altri, non vuole che nessuno sospetti, se si sapesse a scuola, lo verrebbe a sapere anche la famiglia e sarebbe la fine. Insomma, i due litigano, il liceo finisce e ognuno prende la sua strada.

gay-juiceNella vita reale, il nostro ragazzo, diventato uomo, si rende conto che è come vivere in un enorme liceo, con i vari gruppetti inaccessibili di amici, gli insulti, le faide, quelli che “io non ti parlo” e quelli che “ti parlo solo se mi serve qualcosa”. Un paio di ragazzi incrociano il suo destino, ma rimangono per poco, il nostro ragazzo ha ancora paura. Paura dell’omofobia, paura che si venga a sapere in famiglia, paura che si venga a sapere sul posto di lavoro, paura che lo vengano a sapere colleghi e amici. Nessuno sul posto di lavoro ha il coraggio di prendere in giro un omosessuale, ma alle spalle tutti lo fanno e il nostro ragazzo lo sa bene, li ha sentiti. Li ha sentiti definire queste persone come dei poco di buono, dei ragazzi con la passione per la moda, maniere raffinate e il pallino per il sesso promiscuo nei bagni pubblici con emeriti sconosciuti. Li ha sentiti parlare di certe donne, che venivano chiamate “camionisti con le tette”. Il nostro ragazzo non sa come andare avanti. Negare se stesso vivendo tranquillo con gli altri (ma non con se stesso) o combattere ogni singolo giorno per ciò che si è, vivendo tranquillo con se stesso (ma non con gli altri)?

indexQuesta è vita? Ditemelo voi. Stiamo parlando davvero di una vita come tante, di una vita comune? Il nostro ragazzo, un ragazzo qualsiasi, un “omosessuale medio”, è così diverso da tutti gli altri? È così diverso dai suoi compagni di liceo? È così diverso dai suoi colleghi di lavoro? In un mondo ideale, pieno di arcobaleni ed unicorni, la risposta sarebbe un secco “NO”. Peccato che nel nostro mondo gli unicorni non ci siano e di arcobaleni se ne vedano sempre meno.

Ora in Russia assistiamo all’imposizione del divieto per i transessuali di guidare la macchina. Essi sono “disordinati mentalmente”, pertanto non possono guidare, perché sarebbero un pericolo pubblico. Vi sembra un divieto così diverso da quello che riguarda la donazione di sangue? Vi sembrano cose così diametralmente opposte? A me, no. Ripeto quello che ho detto prima: il cinquanta percento delle persone sieropositive è eterosessuale. Il divieto di donazione poteva avere senso negli anni Ottanta, in cui gli omosessuali erano sì una categoria a rischio di contagio, in cui degli screening sicuri ancora non esistevano, in cui il meccanismo d’azione di questo subdolo virus era ancora completamente oscuro. Quello che penso è che in molti nella loro testa non pensino a questo virus come la sindrome da immunodeficienza acquisita, ma come Gay-related immune deficiency, cioè Grid, l’acronimo che si usava durante i primi anni del contagio, prima che fosse coniata la sigla Hiv/AIDS.

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Questa è vita? Non ci permettete nemmeno di donare il sangue o di guidare la macchina, vittime di offensivi pregiudizi e di una devastante ignoranza. Ad ogni modo, I’m not American, sono italiano e anche in questo caso, sono orgoglioso di esserlo. Nella nostra bella penisola, infatti, vengono escluse le persone che hanno avuto meno di quattro mesi prima rapporti sessuali occasionali a rischio di trasmissione di malattie infettive o rapporti sessuali con persone infette o a rischio di infezione da Hbv, Hcv (epatite B ed epatite C) e hiv. Limite molto più ragionevole, che non distingue tra omosessuali ed eterosessuali, concorde col preservare la salute pubblica e non col dare adito a pregiudizi e clichè, concorde col fatto che stiamo parlando di Hiv e non di Grid.

 

JC

4 thoughts on “Se questa è vita

  1. che bello poter leggere un articolo di impronta scientifica ma dove John viene fuori con la personalità, col suo IO interiore. E per riallacciarmi al tuo discorso posso solo dire che i dati sulla diffusione dell’HIV sono sempre più spaventosi e che i medici preposti ad accettare i donatori di sangue, sempre più ignoranti e orbi.

  2. Io sono un donatore di sangue assiduo, gay (ma va!?), con un compagno fisso e nemmeno tanto effemminato che mi vedi e dici “ma sei proprio ricchione!”, eppure, una volta a donare il sangue mi hanno chiesto se fossi gay, e quando gli ho risposto, “ma cosa c’entra?”, mi dicono che noi gay siamo promiscui, andiamo con gente diversa, non usiamo mai il preservativo e siamo pieni di malattie. Ho risposto con serenità: “preferisce un padre di famiglia che la sera va a trans o puttane che non usa il preservativo, che abbia in corpo epatiti e HIV, che non si controlli mai, che vada sempre in chiesa, ma che sia etero? Se essere etero, per voi, sia sinonimo di sicurezza di salute, allora io me ne vado, ma se sicurezza vuol dire cercare di fidarsi dei donatori di sangue e fare subito controlli sul loro sangue, allora eccovi il mio braccio e prelevate pure! Di ospedali seri con medici seri che sanno fare bene differenze andando al di là dei semplici orientamenti sessuali ce ne sono… ci metterò un po’ di tempo ma li trovo.” Morale della favola: da 7 anni dono il sangue lì, ci ho portato il mio compagno e mia suocera 😉

    1. Sai che anche a me l’hanno chiesto una volta in ospedale, al Cardarelli? Poi mi sono trovato a passare al camioncino avis che in genere si mette in Mezzocannone, tra la Federico II e l’Orientale e lì me l’hanno fatto donare senza problemi. Lo dono sempre lì quasi ogni 3 mesi. Sono gentili e mi fanno fare di certe colazioni, a fin r’o munn.

  3. Spesso penso a quanto mi divertirei dovesse capitarmi una situazione come quella occorsa a Raffa; purtroppo non posso donare, non perché frocio o sieropositivo ma molto più banalmente perché miope come una talpa, e nei casi di miopie così accentuate come la mia non si può donare né il sangue né il plasma. John, so che ora ti deluderò, io amo gli States! Amo quel Paese per un bel po’ di motivi che risiedono quasi essenzialmente nella sfera sociale, politica ed economica; questo però non m’impedisce di vedere le evidenti ed insopportabili aberrazioni legislative e l’esempio che tu hai citato basterebbe a farmi detestare gli USA. E nulla dico della pena di morte. In fondo sono nato italiano anche io, e va benissimo così. Grande John!

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