
“Bisognerebbe aggiungere vita ai giorni e non giorni alla vita” disse Rita Levi Montalcini, lei che di certo non ha avuto carenza di giorni nella sua meravigliosa vita. Non tutti però la vedono come lei, non tutti sono disposti a vivere un giorno da leoni: c’è chi piuttosto sceglierebbe cento giorni da pecora. In molti, nel corso dei secoli, hanno avuto il pallino fisso dell’eterna giovinezza, la smania di riuscire ad ottenere l’immortalità, parlando di pietra filosofale, fonte dell’eterna giovinezza o morsi di vampiri. Anche la scienza si è interessata e non poco al segreto della lunga vita e notevoli scoperte sono state fatte a riguardo.
Innanzitutto, bisogna dare una definizione a “invecchiamento”, primo nemico della lunga vita. L’invecchiamento è il declino progressivo delle funzioni fisiologiche dell’organismo umano, un processo para-fisiologico, cioè a cavallo tra fisiologico e patologico. Non si può infatti parlare di patologia, in quanto si tratta del decorso naturale di un organismo, allo stesso tempo, però alcune funzioni biologiche vengono a mancare, caratteristica tipica di uno stato di malattia. Si tratta quindi di un processo fisiologico accompagnato da fenomeni patologici.
Dando uno sguardo al passato, quando l’essere umano non aveva a disposizione la scienza e la tecnica di oggi, la principale causa di morte erano le malattie infettive e che la mortalità infantile era altissima. Oggi si assiste ad un fenomeno contrario: la mortalità infantile è bassissima e la prima causa di morte nel mondo occidentale sono le malattie cardiovascolari. Una cosa, però, non è cambiata, vale a dire la sopravvivenza massima, cioè l’età massima dell’individuo può longevo. Questo valore rimane lo stesso. A variare è che in condizioni agiate vi arrivano più persone, mentre in una condizione selvatica ve ne arrivano molte meno. Un po’ come se ci fosse una data di scadenza prestabilita. Il nostro vivere agiato non porta in là questa scadenza, ma permette solo che più persone vi arrivino.
L’aumento della vita media, accompagnato al fatto che si fanno sempre meno figli, ha portato come conseguenza un invecchiamento progressivo della popolazione. In una curva purtroppo poco famosa, la curva di Gromperz, viene riportato un fenomeno apparentemente paradossale. Sull’ascissa abbiamo l’età, da 0 a 110 anni, e sull’ordinata abbiamo la probabilità che un individuo ha di morire ad ogni età. In pratica, nell’infanzia, oggi la probabilità di morire è molto bassa. Già a 40 anni la probabilità di morire aumenta statisticamente e infatti la curva si alza. L’andamento va avanti così fino a circa 95 anni, cioè fino ai 95 anni la probabilità di morire aumenta di anno in anno. Poi si osserva che la curva scende, cioè a 105 anni la probabilità di morire di abbassa e continua ad abbassarsi andando oltre.
Come mai? Com’è possibile che a 105 anni si abbia meno probabilità di morire rispetto a 85 anni? La spiegazione scientifica, in realtà, è abbastanza semplice: se un individuo è arrivato ai 95 o 100 anni, vuol dire che ha in se tutto un cocktail di geni e proteine particolarmente efficienti e se non è morto prima dei 95 anni, vuol dire che il suo organismo funziona ancora bene e ha la probabilità di sopravvivere oltre. In pratica, si può dire che, statisticamente, gli ultra 95enni hanno qualcosa che li protegge dalle principali malattie e dalle principali cause di morte. Altro aspetto interessante è che questo “qualcosa” è ereditario. Infatti, la probabilità che un fratello di un centenario diventi a sua volta centenario è 17 volte maggiore del normale.
Quindi, cos’è che porta a vivere più a lungo? Come mai alcuni, pochi, superano i 100 anni tutto sommato in forma, mentre altri già a 70 anni sono costretti ad una vita di sofferenze? Togliendo tutte le disgrazie accidentali che possono capitare nella vita di un individuo, si è visto che esistono lei loci genici (locus = segmento di DNA che porta alla formazione di una proteina, pl. loci) associati alla longevità estrema e sono loci che hanno a che fare con il metabolismo dei carboidrati e in generale con tutto ciò che sta dietro all’insulina.
Bisogna precisare il fatto che non siamo tutti uguali, frase apparentemente banale, ma che in realtà è la base su cui alcuni arrivano ai 100 anni e altri no. L’insulina, ad esempio, prodotta dal pancreas dell’individuo A, non è uguale all’insulina dell’individuo B. Esistono delle minime variazioni in queste strutture molecolari che la maggior parte delle volte sono trascurabili, l’insulina, seppur minimamente diversa, funziona allo stesso identico modo. Altre volte, però, certe piccole mutazioni risultano vantaggiose o svantaggiose. È un po’ come essere dei supereroi: alcune mutazioni portano il nostro corpo a funzionale meglio, l’esatto contrario di quello che accade in alcune malattie.
Su questo aspetto, però, non possiamo farci nulla, nel senso che nasciamo con un determinato patrimonio genetico più o meno funzionante e la cosa non si può cambiare. Un altro aspetto interessante, però, è stato associato all’invecchiamento: il tasso metabolico. Il tasso metabolico, per intenderci, è il regime al quale facciamo lavorare il nostro corpo, che in questo caso si traduce con “Quanto mangiamo”. Oltre alla respirazione, è l’assunzione di cibo che fa andare avanti gli ingranaggi del nostro corpo. Tuttavia, non siamo al comando di una macchina perfetta. La digestione del cibo e la produzione di energia a livello cellulare portano all’accumulo dei famigerati ROS, cioè i prodotti reattivi dell’ossigeno, dei radicali liberi che scorrazzano in giro a far danni come tanti piccoli vandali. A questo non c’è rimedio, cioè le nostre cellule producono ROS senza che si possa trovare una soluzione. Semmai, si cerca di “sedare” questi ROS assumendo molte vitamine (dalla frutta, non dagli integratori!!!), ma più di tanto non si può fare.
Un aspetto, però, che è saltato fuori è l’associazione che c’è tra restrizione calorica e lunga vita. Il ragionamento alla fine è semplice: se la produzione di energia nella cellula porta alla formazione di ROS e quindi a invecchiamento, bisogna produrre meno energia. Nei topi, una ferrea restrizione calorica porta ad un allungamento della vita fino al 40% e il che è impressionante. Peccato che, sull’uomo la restrizione calorica non sia altrettanto efficace, in quanto per noi ad un certo punto entra in gioco la denutrizione e il deperimento fisico. Tuttavia, una restrizione del 15% porta comunque i suoi benefici, quasi a volerci ricordare che le abbuffate fanno bene al palato, ma a null’altro.
Insomma, questa carrellata di informazioni e di scoperte sull’invecchiamento ci ricorda che possiamo plastificarci il viso quanto ci pare, possiamo tirar su, diminuire, allargare, riempire le cavità del nostro corpo con silicone o cemento armato, la vecchiaia è lì che ci aspetta ed è allontanata non dalla chirurgia estetica, ma da cose talmente semplici, che in pochi le considerano davvero: “Eat less, move more. Stress less, laugh more. Feel blessed, love more. Find a quiet spot every day and breathe!”
John Crow
Grande John. Riesci a farmi leggere cose che in altri modi potrebbero risultare noiose e a farmele capire con semplicità. Grazie
Grazie a te 🙂 mi fa davvero molto piacere sapere di essere arrivato al punto senza annoiare.
Grazie a te 🙂 mi fa davvero molto piacere sapere di essere arrivato al punto senza annoiare 🙂