
Mi accingo a scrivere mentre l’ansia da finale Champions League è già a livelli insostenibili, in ogni angolo d’Italia (ma anche fuori dai confini nazionali) si trepida e, con tutte le dovute cautela scaramantiche, ci si prepara a festeggiare il ritorno in Patria della Coppa più ambita da tutte le squadre del calcio europeo. Scrivo sotto una finestra pienamente inondata dalla luce accecante di una caldissima giornata di inizio giugno e mentre le spiagge già brulicano di bagnanti ansiosi di abbronzatura e di conquiste. Quando leggerete questo pezzo le sorti saranno già decise, ci saranno gli ubriachi da vittoria e i delusi da sconfitta. E’ sempre così, c’è chi vince e c’è chi perde.
Oggi il vostro Rocco preferito ha deciso di abbandonare per un attimo i suoi amati pois per parlarvi (udite, udite!) di calcio; già, proprio di calcio. Lo faccio con la ragionevole consapevolezza che questo sport, tanto bistrattato e offeso da un mercimonio immondo che sempre più spesso caratterizza tutto il suo complicatissimo mondo, costituisca – ovviamente insieme a tanto altro- un po’ la cifra stilistica del nostro Paese: un Paese, appunto, fatto di artisti, presidenti, scrittori ed appassionati di calcio, quando non anche di calciatori. E di calciatori che sposano veline!
E’ talmente coinvolgente e dilagante tutto ciò che ruota intorno ad una palla calciata che, sin dai suoi albori, questa pratica è in grado di riunire intorno a sé e di far appassionare gente di qualsiasi estrazione sociale; un vero e proprio abbattitore di limiti e barriere in grado di catalizzare attenzioni ed energie e, soprattutto, in grado di fungere da meravigliosa occasione per la socializzazione. Già, perché proprio il calcio, e checché ne vogliano dire snob e detrattori, funziona come eccellente facilitatore dei rapporti sociali garantendo peraltro una sorta di meravigliosa valvola di sfogo cui orientare stress ed affanni di una quotidianità fin troppo asfissiante e costringente.
Certo, ho anche sempre immaginato che le antiche civiltà pre-cristiane giapponesi e cinesi presso cui si ritrovano le prime tracce di questo avvincente gioco non avrebbero mai potuto immaginare quale sarebbe stata l’evoluzione di quel loro gioco, e sono pure sicuro che se avessero potuto vedere ciò che ora è diventato avrebbero stentato a riconoscerlo. E non oso immaginare, inoltre, cosa avrebbero pensato alla corte medicea della Firenze rinascimentale se avessero visto, per esempio, lo scandalo di questi giorni che ha portato alle dimissioni di Blatter dalla presidenza della Fifa perché coinvolto in numerose indagini riguardanti reati penali e finanziari molto gravi che, ovviamente, ruotano intorno al calcio.
Quello che nasce come momento di evasione e come attività di svago per consentire alla gente di distrarsi magari approfittandone per fare anche un po’ di movimento – che non guasta mai! -, schiacciato dal peso del denaro e degli affari ma, soprattutto, involgarito dall’avidità di interessi personali e societari, è finito col diventare un mondo irriconoscibile ed animato unicamente dalla bramosia di potere e dal desiderio sfrenato e immondo di controllare enormi flussi di denaro.
Il calcio, quel calcio che è stato anche la cifra romantica di un Paese che aveva voglia di riscattarsi dalle difficoltà e dalle brutture di due guerre mondiali e dalle conseguenti crisi economiche e sociali, quel calcio che ha fatto sognare intere generazioni e milioni d’italiani cresciuti con i miti di Riva, di Scirea, di Rivera, di Zoff, di Cabrini e di tanti altri… quel calcio non esiste più. Ed il dato più sconfortante di tutto ciò è che le nuove generazioni non potranno mai dire di aver avuto quei riferimenti che, prim’ancora che calcistici e sportivi, sono stati dei riferimenti umani.
Ho avuto la fortuna di crescere probabilmente durante gli anni più belli del calcio italiano, quelli in cui grandi società e squadre si fronteggiavano in un campionato sano e realmente competitivo; non che ora non ci siano più quelle grandi società e quelle grandi squadre, anzi… ma vai a spiegare ad un sedicenne di oggi, incollato alla tv a vedere partite per tutta la settimana, che quando io andavo al Liceo aspettavo la domenica per guardare o commentare con gli amici i risultati dei match calcistici non avendo altri appuntamenti infrasettimanali che me ne facessero perdere la poesia ed il gusto. Ed ancora, vai a spiegare a quel sedicenne di oggi che, una volta, i calciatori si distinguevano per le loro doti sportive ma anche per la loro profondissima sensibilità civile e per le loro encomiabili azioni a sostegno della socialità e della crescita umana; vai a spiegargli che una volta i calciatori erano famosi perché bravi non già perché sposavano le veline e le starlet del jet-set o perché si sfondavano di droghe ed alcool nelle discoteche di tutto il mondo.
Vi lascio con qualche domanda: credete potrà mai tornare quel calcio o anche voi, un po’ come tutti, pensate che la crisi sia irreversibile ed auto demolitrice? Cosa dovrebbe fare il calcio, inteso in ogni sua interazione ed implicazione, per correggere sé stesso e per purificarsi? In ultimo, pensate che il calcio sia ancora un’ottima occasione per unire le persone o sia, piuttosto, il pretesto per liberare paranoie e sfogare istinti repressi e violenti?
Non esitate a scrivermi, come sempre, a rocco@ilpuntoh.com. Aspetto trepidante i vostri commenti!
Ciauz!