L’ipocrisia del Family Day, dannosa anche per le stesse famiglie “tradizionali”

Premessa: non comprendo quale sia il vantaggio per una coppia eterosessuale ad impedire l’unione civile ad una coppia omosessuale, e che questa possa liberamente scegliere se avere o meno dei figli.

Tuttavia sabato 20 Giugno un sedicente milione di persone è sceso in Piazza San Giovanni a Roma per il Family Day, giorno deputato dalle cosiddette “famiglie tradizionali” per protestare contro un eventuale disegno di legge a favore delle unioni civili e della conseguente possibilità per le coppie non sposate e gay di avere dei figli. Non starò qui a chiedermi quanti siano i mariti realmente fedeli alle proprie mogli, né se i bambini portati nell’ambito della manifestazione come simbolo d’unione siano o meno frutto d’amore o di un tradimento, di secondo letto o adottivi, di famiglie davvero tradizionali o allargate, perché, a mio avviso, Famiglia, come mi risponderebbe con un pizzico di ipocrisia anche uno dei tanti presenti in piazza, è innanzitutto Amore. Quindi che importa se la Cicogna sia arrivata da una provetta in laboratorio, una scappatella, dalla terza moglie o da un altro paese? È quello che deve aver pensato anche Massimo Gandolfini, portavoce della manifestazione, che di figli adottivi ne ha ben sette, e anche se la sua di famiglia di tradizionale ha ben poco, ha pensato di spostare l’attenzione dei media sul concetto di ruolo genitoriale, quello di padre e madre, a suo dire, fondamentale per la formazione del bambino.

“I figli non sono un diritto” hanno tuonato in coro, d’accordo, potrei anche condividere il pensiero, ma dunque non dovrebbero esserlo nemmeno per le tante coppie eterosessuali che non riescono a concepire naturalmente e che si ostinano invece, in un modo o nell’altro, a diventare genitori, con l’aiuto della scienza o semplicemente offrendo il proprio tetto e cuore a chi un tetto e cuore non ce l’ha, e così ecco che il Family Day, oltre che una contraddizione in termini, va a ledere anche la libertà e diritti degli eterosessuali stessi, di quanti grazie a quella “pretesa di diritto” sono riusciti a coronare il sogno di diventare genitori.

Radunati in piazza come ad un comizio, le Family-Day si sono battute per difendere i propri figli dall’introduzione della “teoria di gender” nelle scuole italiane, un nuovo modello di fare educazione nelle scuole primarie e secondarie, che vuole insegnare a non avere alcun preconcetto contro i compagni di classe effemminati, e valorizzi l’universale rispetto della diversità. Progetti che mirano innanzitutto ad una educazione sull’affettività, all’integrazione, per cercare di contrastare omofobia e bullismo, realtà ancora troppo diffuse, che trovano radici fertili proprio sui banchi, e maturano col tempo nella società contemporanea.

Tanti gli esponenti politici che in via personale, e non necessariamente in rappresentanza dei propri partiti, hanno espresso il loro assenso. Tra questi il Senatore Pier Ferdinando Casini, divorziato, padre di quattro figli, avuti da ben due mogli, o il giornalista e politico Mario Adinolfi, anch’egli divorziato, e legato dal 2013 alla seconda moglie, sposata a Las Vegas in Nevada… naturalmente come famiglia tradizionale comanda (?).

Insomma, il sedicente milione di Piazza San Giovanni ha forse dimenticato che per famiglia “tradizionale”, quella del Mulino Bianco, s’intende, o dovrebbe intendersi padre, madre e figli, laddove possibilmente la madre sia sempre la prima, i figli avuti naturalmente nell’ambito del matrimonio, e senza amanti, uxoricidi o violenze domestiche a seguito, come da qualche anno i notiziari ci stanno tristemente abituando. Ed è un paradosso che i più considerino tradizionali famiglie di divorziati e, talvolta, pluridivorziati, con secondi figli e figli adottivi, che di naturale o tradizionale hanno ben poco, se non quell’Amore che dovrebbe trasversalmente rendere tutte le famiglie UGUALI, anche quelle omosessuali.

Ma il paradosso più grande è quello di mobilitarsi per togliere dei diritti a dei concittadini, e di non aver alzato un dito, a difesa di questa ormai fantomatica “famiglia modello”, quando anche in Italia lo scorso 26 Maggio è scattata la legge sul divorzio breve, che consente di sciogliere il voto matrimoniale in appena sei mesi. Strano che non l’abbiano fatto. No, perché prendere parte al #FamilyDay, con tanto di hashtag, magliette, striscioni e figli al grido del “Difendiamo i nostri bambini”, e non battere ciglio per una così grande minaccia, come la possibilità di divorziare in così poco tempo, che tanto toglie all’importanza e alla sacralità del matrimonio, è un po’ come non volere la fame nel mondo, pretendendo che altri non mangino il nostro stesso cibo e arrogarsi il diritto di poterlo buttare nel cesso.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *