Michael Musto: le associazioni LGBT sono i primi centri omofobi

Le associazioni LGBT sono quei centri in cui uomini e donne lesbiche, gay, bisessuali e transessuali (da qui l’acronimo) si ritrovano, e lì vi possono trovare tutta una serie di servizi per vivere al meglio la propria omosessualità: dal telefono amico al supporto psicologico, dai ritrovi settimanali alla partecipazione di eventi di supporto e sensibilizzazione per la causa.

Nell’immaginario collettivo sono il primo luogo di lotta e di campagna informativa, eppure, secondo Michael Musto, le comunità gay, e più propriamente LGBT, sarebbero i primi centri in cui vige l’omofobia. Il giornalista statunitense, e attivista gay, ne ha parlato in un pezzo su The Advocate, facendo qualche previsione sul futuro delle “comunità gay”.

In seguito alla vittoria del Sì negli Stati Uniti per le unioni civili anche per gli omosessuali, il giornalista è stato fermato dall’HuffPost per fare qualche dichiarazione in merito all’ipotesi di un mondo in cui le unioni civili siano un diritto di tutti. Intervistato da Josh Zepps, Musto ha detto che dovrebbe essere un momento in cui le storie gay al cinema e in televisioni siano comuni, normali come quelle eterosessuali. Ma affinché ciò accada, ha detto il giornalista, le comunità LGBT dovrebbero confrontarsi con la propria intolleranza.

Ma, in un mondo, quello gay, in cui sentiamo il bisogno di sotto-etichettare le diverse categorie di “appartenenza”, che vanno al di là della semplice preferenza sessuale di “attivo” e “passivo”: chubby se sei paffuto, bear se sei anche peloso, bello, magro, grasso, alto, basso, e poi feticisti, masochisti, sadici e chi più ne ha più ne metta, come una suddivisione in reparti di un grande supermercato; un mondo in cui è addirittura uno svantaggio essere normale, anonimo, indefinibile, non appartenere a nessuna delle categorie, perché così non hai amanti di un determinato genere, quanto è davvero ipotizzabile andare oltre determinate etichette?

In fondo il mondo dei social ci ha abituati alle etichette: dai nickname delle chat, in cui spesso sono i diretti interessati ad autodefinirsi, ai soprannomi di skype, passando per i nomi bizzarri su twitter e qualche cognome altisonante su facebook.

Come ci insegna Musto, dovremmo imparare noi per primi ad andare oltre: oltre l’aspetto, oltre il passato, oltre la transizione, e considerarci soltanto degli uomini e delle donne che vogliono amare. Perché la verità è che a volte, pur non volendo, pur senza accorgercene, siamo i primi a guardare l’altro con sospetto, i primi ad evitare un conoscente per strada se troppo effemminato o rivolgerci, o anche semplicemente pensare, a qualcuno secondo il suo sesso di origine e non per l’aspetto attuale.

«Le comunità a volte sono i più grandi omofobi di tutti – ha aggiunto Musto senza mezzi termini – nell’articolo di The Advocate io dico soltanto che noi come comunità dovremmo insegnare ad accettare i bisessuali semplicemente come bisessuali. Che noi accettiamo le persone trans, e io non credo nemmeno che dovremmo chiamarle “persone trans”, loro sono uomini e donne. Quante persone ho visto su facebook riferirsi a Caitlyn Jenner [ex campione olimpico, oggi donna ndr] ancora come “lui” o “lei”, non è vero? Abbiamo ancora tanta strada da fare come comunità».

4 thoughts on “Michael Musto: le associazioni LGBT sono i primi centri omofobi

  1. Totalmente d’accordo con il giornalista, ma usare il termine “omofobo” è fuorviante a mio avviso. La comunità LGBT è (siamo!) una comunità in parte superficiale, a volte contraddittoria. Ma come tutte le comunità composte da essere umani: ha i pregi e i difetti degli essere umani.
    Forse dovremmo applicare le lezioni che avremmo dovuto imparare, volenti o nolenti, nel corso di anni fatti di discriminazioni e intolleranza. Ma d’altronde gli esseri umani hanno la memoria corta e l’incoerenza per natura.

    1. Pier,
      grazie per il tuo commento, e per aver condiviso con me, e con noi de “Il Punto H”, il tuo pensiero.
      Non potrei che essere più d’accordo con te. Purtroppo noi gay spesso e volentieri siamo superficiali. Ci limitiamo a classificarci come della merce da supermercato, e qualora l’articolo non fosse di nostro gradimento lo scartiamo come un prodotto che non era in saldo o non al prezzo che speravamo, e ciò influisce di riflesso anche sul rispetto degli altri, verso chi è diverso da noi o ha scelto di vivere la propria identità sessuale in maniera diversa dalla nostra.
      Antoine de Saint-Exupéry ne “Il Piccolo Principe” (fiaba che amo) diceva: «Non si vede bene che col cuore. L’essenziale è invisibile agli occhi». Forse è questo che dovremmo fare sempre, vedere col cuore, ma farlo sul serio e non condividerlo soltanto sui social perché fa figo.

  2. Si però bisognerebbe fare delle distinzioni anche perchè associazioni e comunità sono due cose diverse anche se tutte e due composte da persone singole e molto diverse tra loro parlare di comunità come di un essere unico che agisce in uno stesso modo non mi sembra sia corretto è un po’ come dire “lo stato” ma lo stato siamo noi.
    Questo non toglie che tra persone che compongono alcune comunità specie negli Stati Uniti ma anche da noi ci siano delle persone che hanno un certo grado di settarismo (questo mi sembra il temine più appropriato piuttosto che omofobia) che le porta a discriminare chi è diverso sia nei modi che nell’aspetto esteriore.

    1. Ciao Loran,
      innanzitutto grazie per la lettura molto attenta dei miei articoli e per prestarvi attenzione condividendo con me il tuo pensiero. Sì, è vero, la “comunità gay” siamo noi, mentre delle “associazioni” ne fanno parte soltanto alcuni. Ma nel mio articolo è stata una cosa volontaria creare questa sorta di ambiguità tra le stesse, perché comunità, associazione, poco importa. Siamo noi, sono, giocoforza parte di noi, la somma del nostro comportamento e talvolta, anche in buona fede, siamo i primi ad essere “omofobi” pur senza volerlo o senza accorgercene nemmeno, e non è semplice “settarismo”, come giustamente suggerisci, perché potrebbe essere valido con il discorso della suddivisione in “categorie” che spesso noi gay facciamo, ma parlare al maschile di un uomo che ha scelto con sacrificio di diventare donna, non rispettare l’identità altrui o un atteggiamento femmineo o mascolino che sia, non è semplice settarismo, è paura stessa di ciò che, pur accomunandoci, è diverso da noi. E il fatto di essere omosessuali non ci giustifica ad assumere atteggiamenti omofobi, ed era a questi che nel mio articolo mi riferisco particolarmente.

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