
Le emozioni che soltanto un viaggio può e sa regalare meritano d’essere trattenute il più possibile, meritano d’incidersi nel solco di una memoria che spesso appare labile, meritano d’imprimersi nell’intimità dell’animo che, proprio da quel viaggio, esce rinnovato. Il desiderio di fermare ogni emozione ed ogni sensazione ricevuta si scontra, non di rado, con le difficoltà di un’azione narrativa che sia il più fedele possibile; epperò anche soltanto lo sforzo di procedere ad un’operazione del genere appaga. Questo mio vuol essere semplicemente un tentativo, che spero soltanto non sia del tutto vano, di riuscire a trasmettere, a tutti coloro che vorranno avere la pazienza di leggermi e la clemenza di scusarmi, la bellezza devastante di un tempo trascorso a fotografare, non soltanto con la digitale e con l’iphone ma anche con il cuore, tutto ciò che, come per incanto e materializzandosi direttamente dal sogno, mi è apparso davanti, intrepido e fugace, nel corso di un viaggio, appunto. Un racconto tra il sognante e il visionario ma che non rinuncia mai a farsi, appunto, fotografia di una realtà che ha toccato la mia carne ed i miei sensi.
La mia gioia sarà quella di chi si emoziona anche nel condividere un racconto, un click.
Dall’alto la nostra campagna, la campagna di questa ultima porzione di Salento prima che i due mari si abbraccino, si manifesta in tutta la sua spavalda bellezza mostrando un sé fin troppo sicuro, perfino aggredendo anche il più timido osservatore. La sua tavolozza evoca la terra, il cielo, il mare, la pietra, tutti i colori di una natura talora ancora molto primitiva e nella quale non è sempre facile scorgere i segni dell’uomo. L’attraverso seduto su una poltrona scelta a caso al piano superiore di un pullman gran turismo che, riluttante e lento, continua a macinar chilometri di una terra giá rovente ed arsa. Sitibonda. E’ un incedere ebbro di aspettative, anche il suo, quasi a voler sincronizzare il suo ritmo con il mio, i suoi palpiti con i miei; ed è una sensazione strana, indicibile. Alla mia destra il caro Alessandro; silente, a momenti sonnacchioso, assorto in quel suo singolare caleidoscopio che erompe dal silenzio dei suoi occhi, tacitamente elabora, immagina e studia il percorso ideale di quello che sta per essere il nostro viaggio, di quello che giá é il mio sogno. Da sempre. Alessandro legge, appassionato di antichitá e di umanità perdute, sollecito al culto di un passato che talora l’uomo moderno sembra voler rimuovere, cultore di un Bello che spesso la modernità ignora, trascura, rovina; il suo libro ha il colore del gotico, della bruma scura che avvolge la cattedrale di Chartres in un giorno di pioggia in cui il sole, ritroso, non si concede; quel suo libro è una vetrata superba che si nega alla luce. Alla mia sinistra quello che sembrava un illimitato susseguirsi di ulivi, maestosi ed alteri in tutta la loro fierezza, ora lascia il posto ad un contesto piú antropizzato; quei maestosi giganti della natura resistono, quasi a voler imporre la loro supremazia e ricordando ai distratti che questa é terra di campagne, di fatiche silenziose e di copiosi sudori. Questa è terra di contrasti, di bellezze ruvide e di antichi sapori.
E intanto un monotono e ossessionante nastro d’asfalto mi conduce, inesorabile, alla meta che, via via, si avvicina.
Oltre quel finestrino un mondo che guardo dall’alto. Una coppia di timidi cipressi pare voglia ritagliarsi il suo spazio in un contesto che, in tutta evidenza, non le appartiene; la loro è una specie di tacita rivendicazione che, però, stride con un primato che non lascia spazio ad invasioni, che mal tollera le intrusioni, che non gradisce l’interruzione di un continuum che dura da secoli. Da millenni. Gli ulivi non ammettono intrusioni, sono superbi ed un po’ snob anche in questo. Queste le loro campagne, questo il loro mondo, questo non é il mondo dei cipressi; eppure questi, in quella loro diafana e lieve timidezza, annunciano e difendono con forza il loro esserci. E la loro diversitá cerca una felice coniugio con quei tronchi ritorti e rugosi che pare quasi vogliano sottometterli. I cipressi, in fondo, vorrebbero abbracciarli quegli ulivi. E sarebbe un abbraccio benedicente.
Per chi parte da Santa Maria di Leuca qualsiasi viaggio é emblematico di una risalita; lasciarsi alle spalle il voluttuoso e languido abbraccio dei due mari per guadagnare uno Stivale che s’allarga costringe ad uno strappo, di certo non definitivo ma che non puó restar ignorato. Un incessante e progressivo cambiamento invita lo sguardo ad adeguarsi, a scegliere di posarsi su prospettive sempre mutevoli e transeunti, a selezionare tra una molteplicità di vedute. Tutto cambia.
Tutto s’abella!
A sinistra ulivi, ancora. A destra Alessandro, il dotto. L’amico.