Monsignor Charamsa e il coming-out: un grande passo per un uomo (di Chiesa), un piccolo passo per la comunità LGBT

Krzysztof Charamsa 2015 ilpuntoh

Il sottotitolo di un noto film di Don Camillo recita così “Monsignore… ma non troppo”. È quello cui ho pensato quando, come tutti, ho appreso dai giornali la storia di Monsignor Krzysztof Charamsa, il quale, coraggiosamente, non soltanto ha ammesso la propria omosessualità, ma anche di avere un compagno di vita.

In un’ampia intervista riportata dal Corriere della Sera il sacerdote polacco parla della consapevolezza della propria omosessualità, del rifiuto degli inizi, rifugiandosi nella fede e nella preghiera, fino alla totale accettazione trovando per di più l’amore.

Tanti gli omosessuali che su facebook hanno gridato all’eroe, indignandosi per la reazione della chiesa di togliere il ministero all’uomo che ha dato voce agli omosessuali cattolici alla vigilia del sinodo in Vaticano, assemblea in cui il Santo Padre e i cardinali discuteranno della famiglia. Un grande passo per un uomo, un piccolo passo per la comunità LGBT che per la prima volta trova in una così alta carica della Chiesa un proprio “rappresentante”, che costringe la Chiesa Cattolica a vedere quell’elefante rosa in salotto che per dottrina o bon ton fingeva che non ci fosse.

Nell’ampia intervista l’ex sacerdote ha spiegato che l’abito, al di là della sua relazione con un altro uomo, e dunque della violazione del voto di castità, lo avrebbe perso comunque, in quanto, secondo il diritto canonico, dal 2005 non possono essere ordinati sacerdoti omosessuali. Una contraddizione in termini, se si considera l’amore universale per il prossimo che Cristo ci ha insegnato al di là della propria razza, de proprio colore, del proprio sesso e, sì, del proprio orientamento sessuale, una discriminazione verso quelle persone omosessuali che, con vera vocazione, voglio invece dedicate la propria vita con fede al Signore. Ed è probabilmente questa la cosa di cui indignarsi maggiormente. Se è vero che secondo la Bibbia il matrimonio (quello davanti a Dio) può essere contratto soltanto da uomo-donna, è altrettanto vero che diventare sacerdoti, monache, frati, vestire l’abito e decidere della propria castità e fede è soltanto una scelta estremamente personale, che trascende dal proprio orientamento sessuale.

Con Monsignor Charamsa la Chiesa dovrebbe oggi aprire gli occhi su di una verità esistente dalla notte dei tempi, e prendere atto che, con gli uomini e le donne creati da Dio, ce ne sono stati altri che, non per propria scelta, si sentono attratti dal proprio sesso, sentono di vivere nel corpo sbagliato, sono quegli stessi esseri umani creati ad immagine e somiglianza di quel Dio che ama indistintamente tutti, e che provano gli stessi sentimenti, le stesse paure, i timori, l’amore.

Forse non si arriverà ad un pieno riconoscimento con questo Sinodo, ma il Papa dovrebbe iniziare un percorso di apertura, e dare una nuova chiave di lettura ad un testo, quello biblico, il cui messaggio d’amore incondizionato è stato travisato da millenni di omofobo oscurantismo.

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