
Un uomo, un cane e il grande nord. Un freddo dannato, nemmeno quantificabile in scale di misurazione, un silenzio bianco, assordante. Un cammino lungo un torrente ghiacciato, per raggiungere gli amici a un campo dove hanno trovato qualcosa. A un certo punto l’umanità, l’uomo rompe il sottile strato di ghiaccio e si bagna i piedi. Per sopravvivere deve preparare un fuoco.
Un destino profondamente diverso lo attende e dilania, nelle due versioni che la casa editrice Mattioli ci regala accorpate in un unico e caldo volumetto.
Un uomo che per biologia si crede adatto alla vita. Poco importa quale vita, quali limiti, quale riconoscenza umana. Non si ha la concezione della propria e piccola eccezione, della propria relatività. L’arroganza, non attenuata ma corroborata da secoli di evoluzione, io sono qui nonostante i fallimenti e non, la nostra è una storia di fallimenti. Ottimismo forse, in realtà umanità.
Qualcosa gli diceva che il gelo si stava impadronendo di altre parti del suo corpo: si sforzò di tenere a bada questo pensiero, anzi di dimenticarlo, visto che era ben conscio del panico che gli provocava. Aveva paura del panico.
L’Arroganza, l’inesperienza e la cattiva sorte, in una tempesta bianca di inevitabili errori davanti a una natura indifferente e implacabile si combinano in un disastro. Un fallimento. La possibilità viene data, riprendere la pelliccia che si è persa nell’intelligenza. Il cane è il monito, tanto la morte quanto la salvezza. Bestialità e sopravvivenza. Invece la scelta non è altro che tentare di squartarlo per scaldarsi nelle sue viscere animali e quindi fumanti calore e vita. La cecità, il bianco è accecante. Non si ha più la concezione della pelliccia primordiale, è inutile il pensiero, solo il cane la possiede.
Non apparteneva più a quel corpo: si era già allontanato da esso, era con i ragazzi e osservava il proprio cadavere disteso nella neve. Fa proprio freddo pensò.
Ci siamo elevati, in che prospettiva non è dato sapere.
Un racconto semplice, un racconto sincero, e per certi versi prevedibile. E’ altresì una vita e quindi ha un livello di lettura nella sua ambiguità. Ha un importanza di lettura. L’ambiguità delle azioni, dei personaggi, fino a quella della neve e del ghiaccio, nonostante il loro bianco candore, la loro neutralità. Ambiguità regalata anche dall’accorpamento dell’edizione, delle due edizioni.
Da qualche parte, una volta gli era capitato di vedere un Mercurio alato e si domandò se Mercurio si era sentito come lui quando, in volo, aveva sfiorato la superficie terrestre.
Il freddo estremo domina la mente, il biancore e il vuoto no, questi sono una cornice che tale rimane per l’uomo, così occupato nella considerazione del suo piccolo, viscerale universo. Il sangue che ha perso, la scia della sua vita, la scia delle nostre vite, non viene mai guardata. Il disegno rosso su bianco, molto chiaro, che lasciamo nelle nostre vite non viene mai indagato, tenuto a mente e negli intenti. Il violento quadro di sangue viene meno davanti alla concezione della mancanza e lo svuotamento delle viscere. Ciò che ho, non ciò che sono. E in ciò come fontane ci estinguiamo, quando arriva la sera, che nel grande Nord è molto fredda.
L’uomo era sconvolto: era appena stata pronunciata la sua condanna a morte.
Kader
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Raccontamelo in una canzone
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