
Colin, ricco e giovane parigino che non concependo i sentimenti e la loro possibilità di fuga dal reale, si è dovuto creare una vita surreale. Un giorno incontra Chloé, una deflagrazione, il castello cade. La follia del sentimento e il suo clamore nello spettacolo pirotecnico che è l’amore, inducono i due giovani a sposarsi in pochi giorni e partire. Un seme cresce nei polmoni di Chloé, una ninfea bianca la costringe a letto soffocandola progressivamente. L’unica cura è circondare l’amata con fiori di dolorosa bellezza. I soldi iniziano ad esaurirsi, come lo spazio fisico di vita, gli stessi muri della loro un tempo reggia. Tutto impazzisce e la schiuma dei giorni inghiotte quello che è amato, lasciando solo incrostazioni di sale.
Un romanzo affamato di vita, un romanzo che sottolinea la baracconata della normalità. Una scrittura, un immaginario, un affresco affascinati e allucinati permeano le pagine di questo romanzo inusuale. Si viene scaraventati senza riserbo nella follia, la semplicità del quotidiano. Autoimposta o deflagrata dalle relazioni umane poco importa. L’apice sacro e profano, volto a sottolineare l’unione e non relegarla specificatamente ad una religione, è l’apoteosi della forza espressiva e catartica del romanzo. Da lì l’abisso, l’onda che si ritira e la schiuma che resta. Un vetro rotto da uno scarpone e un fiocco di neve che entra dalla frattura fin dentro al costato di Chloé. Lo squarcio in cui si insinua una ninfea nei suoi polmoni. La realtà che toglie il fiato, la bellezza. Perché si, la vita è anche questo.
“Ti ho già detto che ti amo tanto, sia all’ingrosso che al dettaglio”. “E allora prova ad andare al dettaglio” disse Chloè e si lasciò cadere fra le braccia di Colin, con l’indolenza di una serpe.
Si può soffocare la bellezza con la bellezza, circondare la malata di fiori impensabili e impensati, per spaventare la bellezza della ninfea. Ma cosa nasce dalla paura se non altra paura scaturita. Tutto si fa dolorosamente stretto. Lo spazio che era deflagrato viene necessariamente costretto e circoscritto secernendo schiuma. Non si può mettere in discussione la vita nemmeno per migliorare la situazione: bisogna farle fede dell’esperienza che accampa. Amare per i volteggi in una navata di chiesa annacquata sopra la mera sensazione di esistere. Decorarsi nel silenzio davanti ad una superflua grandezza in cui si inciampa. Ricordarsi degli amori proibiti dell’adolescenza nelle cantine, sui cofani delle macchine calde, tra le rovine di cantieri, in parchi. Dove la natura, la verità, era tutt’intorno, e se i suoi profumi ti ridavano il fiato dopo l’orgasmo, i suoi rovi ti dilaniavano la carne e facevano stillare il sangue.
I tempi delle piogge di sangue.
Da sotto la porta della cabina 128 serpeggiava lentamente un esile rivoletto di sangue, e il liquore rosso cominciò a scorrere sul ghiaccio, a grandi gocce grevi e fumanti.
Un romanzo devastante sull’amore o la follia, non questione di dare e avere, una questione di parità, il che è una convenzione fra le parti. Scardinare l’amore è come voler forzare una porta blindata con il proprio corpo, o la trovi aperta o finisci al pronto soccorso.
Rimaniamo bambini privi di difese ma pieni di colori sulle mani e sul viso, dentro un corpo adulto e armato, pieni non di amore follia ma di amore odio, simuliamo, vendicandoci di non essere stati difesi quando più sarebbe stato necessario farlo, in una disperata ricerca marina del peccato. Ci inginocchiamo, solo per sparare meglio. Tendiamo le mani con questo amore simulato per accogliere con ardore la persona amata, per ridurla in cenere, nell’abbraccio della Vergine di Norimberga. Abbracciare, stritolare.
Io ti chiedo scusa.
Scosse un po’ la testa per cambiare l’inclinazione della corona di spine. “Non capisco che cosa abbiamo fatto, non meritavamo questo”.
Kader
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Raccontamelo in una canzone
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