
Isabel, fuggente e enigmatica figura femminile di cui si perdono le tracce quando si unisce ai movimenti comunisti studenteschi in Portogallo in risposta alla dittatura di Salazar. Diventa altro, diventa straniera e si perde. Lei è l’obiettivo della ricerca in cerchi concentrici di un uomo dai molteplici nomi e dalla provenienza sconosciuta. La conoscenza è il fine del suo percorso di ricerca, nella quale più si inoltra tra fasci di luce di colore diversi più si rende conto che non importa se si trova o non si trova. L’importante per lui è cercare. Più si avvicina alla risoluzione e al completamento del suo mandala, più si fa disperato. E quando arriverà al centro, dopo aver impresso sulla sabbia colorata sonate al chiaro di una luna rossa, fantasmi profetici, santoni e gente dolorosamente comune, forse potrebbe trovare il nulla, una foto, la realtà, se stesso.
Un romanzo strambo, una creatura strana come un coleottero sconosciuto rimasto fossilizzato su un sasso, così Tabucchi descrive il suo primo inedito postumo. Ascrivere ad un genere o alla stessa letteratura tale racconto è quanto di più erroneo. Una ricerca che a ben osservare è prettamente metafisica, tanto più si fa spasmodica e pellegrina tra sapori, odori, luoghi, colori, la quotidiana esperienza. Si può cercare un senso nella struttura, in quei cerchi di conoscenza che vanno via via restringendosi e concentrandosi in un centro, che centro poi non è. L’invito è a considerare il mandala, il disegno, l’arte in letteratura, in una storia struggente di vetri mangiati che lacerano le budella e l’anima.
E io volevo andare il più in alto possibile, volevo staccarmi da questa misera crosta terrestre dove la vita è cattiva, volevo essere il più vicino possibile alla volta celeste.
Il panorama rimane quello della pretenziosità e onniscienza della scrittura italiana. Ogni capitolo, circolo, presenta una condizione necessaria per arrivare alla conoscenza. Dall’evocazione, l’orientamento, l’assorbimento, la reintegrazione fino al ritorno dopo la dilatazione. Un cammino, personale. L’autore si rende tuttavia umano, non intacca la sua opera, grazie ad una giustificazione in forma di nota posta all’inizio del suo racconto. Chi siamo noi quindi per non perdonare. Grazie a questo discostarsi, le sue parole calmierate assumono un senso di lettura, una gioia di lettura.
Ossessioni private, personali rimpianti che il tempo rode ma non trasforma, come l’acqua di un fiume smussa i suoi ciottoli, fantasie incongrue e inadeguatezze al reale, sono i principali motori di questo libro.
Siamo disposti a tutto, nelle nostre vane ricerche quotidiane, che rimangono nostre se vogliamo mantenere un rigore etico e ideale nella sincerità. Consumiamo le dita e perdiamo le unghie, grattando il cemento che unisce i mattoni dei nostri muri. Perdiamo sangue, impronte, identità. Il passo verso la completa disumanità si completa poi nei denti rotti con pietre che ci stridono in bocca con il loro peso e sapore salato della verità. Non ci resta che una maschera da indossare e scendere nelle nostre quotidianità carnevalesche.
Il poeta si alzò. Era nudo, era scheletrico. Si coprì con un lenzuolo come se fosse un senatore romano ed esclamò: chi sporcò, chi strappò i miei lenzuoli di lino dove volevo morire, i miei casti lenzuoli? Quel piccolo giardino che era mio, chi fu che strappò gli alti girasoli, chi li buttò sulla strada?
Si può scegliere di vivere in opposizione, che poi non è nient’altro che l’ammissione della propria contraddittorietà.
Si può scegliere di vivere dentro, in una follia di sentimenti che ci rende astri che bruciano violentemente consumando il nostro e altrui ossigeno.
Si può scegliere di vivere sopra, astrarsi, ma li dovremmo allora per coerenza farla finita di per sé.
Il contro, il dentro, il sopra, scegliamo tutto, scegliamo il carnaio. La vita diventa un orgia allucinatoria e allucinata nella quale fievolmente ci annichiliamo e l’atto sessuale, la pulsione animale, diventa un atto privato che esplode in umori che coprono senza pudore e rispetto quel muro su cui abbiamo perso carne, unghia, denti. Macerie umane, scomposte.
Le fotografie di una vita sono un tempo segmentato in più persone o la stessa persona segmentata in più tempi? La vita contro la vita, la vita nella vita, la vita sulla vita? Forse, è un enigma che lascio a lei che guarda questa fotografia.
Link utili:
Raccontamelo in una canzone
[embedyt] http://www.youtube.com/watch?v=TJAfLE39ZZ8[/embedyt]
non conoscevo questo libro di Tabucchi: ora è un #MustComprare perché lui scrive davvero bene e condividiamo (almeno quando era in vita) lo stesso amore immenso per il Portogallo, la sua lingua e la sua cultura.
Anche solo per il suo nazionalismo, espresso senza patetismi o finzione, nel silenzio di poche parole, andrebbe letto.
Gli scrittori nazionali, sono tutti dei Cesari malcelati. Se si esce dal seminato, spesso e volentieri si trovano gemme inaspettate. #Mustsborsalisordi