
È uno dei blog gay più visitati, ma Gayburg qualche settimana fa è stato letteralmente oscurato da Google e stornato dalla sezione notizie del motore di ricerca più famoso al mondo. Causa una segnalazione, da parte dei soliti benpensanti bigotti, che avrebbero evidenziato l’inadeguatezza dei contenuti del sito, così da farlo prima oscurare, e poi bollare con un avviso prima di accedervi, rinchiudendolo di fatto in una bolla di virtuale che gli impedisce ogni comunicazione con il mondo.
Marco, fondatore e unico amministratore del sito ci ha spiegato cosa è accaduto e ci ha raccontato la storia di un sito anonimo diventato negli anni un punto di riferimento per la community LGBT.
Quando hai deciso di creare Gayburg?
«Ho sempre avuto la passione per la comunicazione e nell’ottobre del 2005 ho aperto il sito quasi per gioco, giusto per provare a costruire un sito che offrisse una linea editoriale diversa da quelle già esistenti (ai tempi i siti di informazione LGBT si potevano quasi contare sulle dita). Inizialmente l’idea fu di proporre solo notizie positive, offrendo un luogo di svago, ma poi divenne sempre più insostenibile il continuare a “far finta di niente” dinanzi a vari fatti gravi che si si stavano verificando.»
Da cosa deriva il nome Gayburg?
«È l’unione di “gay” e “burg”, ossia la classica desinenza che viene utilizzata per i nomi di alcune città come Johannesburg, Pittsburgh e via dicendo. L’idea era quella di una “cittadina virtuale” che potesse ospitare contenuti dedicati ad una precisa comunità»
Oggi invece sono tanti i siti LGBT in Italia e nel mondo: cosa rende speciale o comunque diverso il tuo blog?
«Come giustamente noti, ormai i blog LGBT sono tanti ed anche le idee editoriali più originali prima o poi vengono riprese anche da altri: la differenza maggiore resta ormai confinata alla selezione delle notizie. La linea editoriale che cerco di seguire è un mix fra notizie di un certo spessore e notizie più frivole, nella speranza di mantenere l’attenzione sull’attualità senza deprimere i lettori.
Spesso ci si lamenta anche che la comunità lgbt italiana non sia politicamente impegnata. Sarà forse utopico, ma a me piace pensare che chi sta cercando su Google le foto dei pettorali di Zac Efron e finisce sul sito, magari si ritrovi anche a scopre qualcosa in più sulle condizioni dei gay ugandesi»
Quanto impegno ci vuole per mandare avanti un blog?
«Ci vuole tanto impegno e tanto tempo. Praticamente è un secondo lavoro che porta via ore ed ore ogni singolo giorno dell’anno. Credo si tratti un impegno che può essere affrontato solo con passione passione, altrimenti si soccomberebbe dinnanzi ad incombenze che non sempre offrono riscontri immediati. Oggi ho la fortuna di avere un buon pubblico e abbastanza viabilità, ma nei primi anni mi ritrovavo a scrivere articoli che venivano letti a malapena da una cinquanta persone. Sul numero di articoli non c’è una regola fissa. Generalmente tendo a scrivere almeno tre nuovi articoli al giorno, ma in alcune giornate si è arrivati a toccare anche la decina»
Quali sono gli argomenti principali di cui parli e in base a cosa scegli di parlarne?
«La selezione delle notizie si basa sull’interesse che si presume possano generare. La priorità viene sicuramente data alle notizie di attualità, dato che sono quelle che invecchiano più rapidamente e necessitano di una pubblicazione più puntuale. È questo uno dei motivi per cui non sempre si riesce a mantenere un equilibro fra e diverse tipologie di notizie: la cronaca, la politica e la stretta non sono programmabili e l’esperienza ha mostrato come un eccessivo sovraffollamento di nuovi articoli rischi di farli passare inosservati. Da qui la necessità di far spesso slittare altri temi, soprattutto nei periodi in cui il dibattito politico fornisce un flusso ininterrotto di notizie si pensi all’approvazione del matrimonio egualitario negli States o al dibattito sulle unioni civili qui in Italia)»
Improvvisamente, dopo anni di attività, il tuo sito è stato segnalato: era già successo prima?
«Dato che non esistono comunicazioni riguardo alle segnalazioni subite, non posso sapere se in precedenza il sito fosse già stato segnalato e se Google avesse deciso di ignorare quelle richieste. L’unica altra evidenza è una segnalazione che nel luglio del 2013 portò all’esclusione dal servizio AdSense da parte di Google sulla base di proteste che sarebbero giunte da alcuni utenti. Anche in quel caso, dopo qualche mese, rividero la loro decisione, e anche in quel caso risultava incongruente un blocco a Gayburg e un finanziamento a siti fraudolenti che millantavano la possibilità di “curare” i gay».
Chi pensi abbia potuto segnalarlo?
«Non lo so. Posso solo osservare che un mese prima era stata l’associazione ProVita a chiedere alla procura di Roma l’oscuramento del sito, così come nei giorni immediatamente precedenti La Manif Pour Tous aveva fortemente attaccato alcuni articoli sui social network. Inoltre anche Gianfranco Amato è solito mostrare le pagine di Gayburg in almeno due momenti del suo show teatrale contro il fantomatico “gender”. L’ipotesi che le segnalazioni possano giungere da persone vicine a questi gruppi è quantomeno plausibile… e non mi stupirei se fossero le stesse persone che hanno fatto chiudere la pagina Facebook del progetto Gionata grazie ad una segnalazione di massa»
Perché questa volta pare che la segnalazione sia andata a “buon fine”, ovvero abbia portato ad una censura e perché prima no?
«Un’altra bella domanda. Temo che il problema sia nella sensibilità del singolo impiegato che analizza la segnalazione. Già in altre occasioni è capitato che una medesima richiesta avanzata a Google potesse avere due risposte diametralmente opposte sulla base dell’operatore che le ha gestite»
Google spesso anche con i Doodle ha celebrato l’amore gay e l’uguaglianza di diritti: perché adesso ha deciso di censurare il tuo sito?
«Non credo che Google abbia censurato il sito, ma credo che un qualche impiegato abbia deciso di dar seguito a delle segnalazioni effettuate in mala fede. Infatti, nonostante non vi siano certezze di cosa sia realmente accaduto, credo che il blocco sia rientrato non appena la questione è stata analizzata seriamente da qualcuno che voleva vederci chiaro e non ha liquidato la questione sulla base delle prime cinque immagini che vedeva, magari senza neppure conoscere l’italiano o poter sapere di che cosa trattassero gli articoli. Quello che ora si può chiedere a Google è che riveda la gestione di certe segnalazioni per impedire che la voce di qualcuno possa essere messa a tacere sulla base di segnalazioni di massa. Se l’atto singolo va probabilmente ridimensionato all’operato del singolo, la politica e la garanzia delle libertà degli utenti è una questione che dovrebbe coinvolgere i vertici aziendali»
Cosa significa questa censura in termini tecnici, cos’è che comporta effettivamente per il sito?
«Il blocco dei contenuti è un qualcosa di devastante per qualunque sito. Se in altri casi Blogger aggiunge un messaggio che vien sovrapposto al sito (e che quindi appare consultabile dai motori di ricerca), in questo caso si veniva rediretti su altro dominio e, di fatto, si smetteva di esistere per chiunque non conoscesse l’esatto indirizzo. L’effetto era la rimozione dei contenuti dai motori di ricerca e l’impossibilità a poter condividere articoli su social network come Facebook»
E cosa significa questa censura per te innanzitutto e per tutto il mondo LGTB?
«Significa non avere più voce. La comunità LGBT non avrebbe perso poi molto con la chiusa di uno dei tanti blog, ma il vero problema è il tema della libertà di opinione e la protezione dalla violenza da chi vuole chiudere la bocca a voci scomode. Se per far tacere qualcuno è sufficiente organizzare segnalazioni di massa, torneremmo in un Medioevo in cui le lobby più forti possono far decidere che cosa possa essere detto e che cosa vada taciuto. Se la libertà di opinione viene calpestata, il problema è di tutti. Quindi credo che anche gli etero e i cattolici dovrebbero preoccuparsi se alcune frange integraliste cercano di far tacere il dissenso. Oggi tocca ad un sito LGBT, domani a chi toccherà?»
Qual è stata la reazione della community nei confronti di questo gesto?
«È stata una reazione incredibile. Su Twitter ci sono stati centinaia di messaggi con cui vari utenti hanno chiesto a Google di sbloccare il sito. Ho ricevuto numerosissime mail di persone che mi offrivano spazio sui loro siti o che si offrivano di darmi una mano a crearne uno nuovo. Inoltre anche alcune associazioni mi hanno contattato per offrirmi il loro aiuto»
Cosa significa per la community e per la società la disinformazione LGTB?
«La disinformazione impoverisce la società. Cercare di raggiungere obiettivi politici attraverso la diffusione di bugie è un qualcosa di riprovevole, ma forse è ancora più grave che ciò avvenga senza che lo Stato intervenga per tutelare i cittadini. La legge vieta la diffusione di informazioni false volte a danneggiare una specifica comunità, così come la Procura ha dovere di intervenire senza neppure che si sia l’esigenza di una denuncia. Ma quando la propaganda d’odio è legittimata da lobby vicine all’integralismo religioso, pare che la legge non valga più e che i cittadini siano lasciati in balia di sé stessi»
Quanto è importante l’informazione LGBT anche per gli eterosessuali?
«L’informazione è sempre importante per tutti perché la paura e il pregiudizio nascono dalla disinformazione. Non è un caso se tutte le propagande politiche contro le minoranze tendono a far leva proprio sulla disinformazione: se le persone conoscessero ciò di cui si parla, probabilmente non crederebbero ad una sola parola di ciò che viene detto loro. Quando c’è chi cerca di convincere la gente che i gay sono malati o che siano dei pervertiti, appare evidente che la necessità sia quella di impedire che la gente possa conoscere quelle realtà, altrimenti mai crederebbe a quelle follie»
A chi conviene far odiare i gay e perché?
«Le ragioni sono molteplici. C’è chi spera di potersi sentire migliore degli altri solo perché va a letto con una donna o chi ha paura delle diversità e reagisce con violenza. La Chiesa Cattolica probabilmente è terrorizzata all’idea di dover ammettere di aver avuto posizioni sbagliate che possano mettere in discussione la sua infallibilità, con conseguenti ripercussioni anche sul suo potere temporale. Qualcun altro vuole semplicemente sfruttare l’ignoranza della gente per tornaconti elettorali.
Non trascurabile è poi il lato economico: l’omofobia è un vero e proprio business. Le fantomatiche “terapie riparative” hanno un giro d’affari miliardario, con entrate garantite a fronte della vendita di fumo. Tutti i siti che vendono omofobia mettono ben in evidenza i pulsanti in cui chiedono soldi in cambio della promessa di una “difesa” dalle diversità, così come probabilmente nessuno al mondo avrebbe mai comprato l’orribile giornale di Adinolfi se dietro non ci fosse stata la vendita di una legittimazione del pregiudizio. Creare paura e creare un nemico ha sempre garantito potere politico e sudditanza. È stato così quando c’era la guerra fredda o quando Bossi chiedeva voti in cambio di odio verso i meridionali e lo è oggi con l’omofobia»
Noi del Punto H chiudiamo sempre con una domanda di rito: qual è la domanda che non ti hanno mai fatto e cui muori dalla voglia di rispondere?
«È quella a cui si è soliti rispondere “Sì, lo voglio”. Tecnicamente, però, dovrebbe essere Brad Pitt a farmela.»