
Nell’ultimo anno, precisamente dal 1° ottobre 2017 al 30 settembre 2018 sono 369 le persone trans o non-binary uccise per la loro identità di genere, secondo i dati del Trans Murder Monitoring Project, 44 in più rispetto all’anno scorso e 77 rispetto al 2016.
Il paese che ha visto la maggior parte dei casi è il Brasile, con 167 casi (i dati riguardanti il Brasile erano già stati rilasciati in precedenza in vista delle elezioni presidenziali, vinte poi da un candidato transfobico), seguito dal Messico (71), poi Stati Uniti (28) e Colombia (21). Il numero però dipende anche dalla presenza o meno di un organo ufficiale di raccolta dati sul fenomeno, puntualmente presente nei paesi con i tassi più alti e completamente assente nei paesi con i tassi più bassi, o i cui dati sono completamente sconosciuti, come la maggior parte dei paesi dell’Africa centrale. Ad aggiungersi al problema della raccolta dati sono le testate locali, che in paesi più conservatori o non riportano le notizie o non riportano l’identità di genere della vittima (e quando lo fanno la usano contro la vittima stessa).
“Non possiamo stimare un numero, ma sicuramente i dati che riusciamo a registrare sono solo una piccola frazione” ha dichiarato Lukas Berredo, di Transrespect vs Transphobia Worldwide.
Negli ultimi dieci anni, invece, dal 1° gennaio 2008 al 30 settembre 2018, i casi totali sono stati 2982 nei 72 paesi monitorati. Il paese europeo con il maggior numero di casi è la Turchia (51), considerata come europea dagli autori dello studio, seguito dall’Italia con 37. La maggior parte delle vittime sono soprattutto sex workers (professionisti del sesso, 62% dei casi), mentre negli Stati Uniti la maggior parte delle vittime sono di colore o nativi americani. In Italia, Francia, Portogallo e Spagna il 65% delle vittime sono migranti. Quasi la metà delle vittime (46%) ha un’età dai 20 ai 29 anni.
Il report è stato pubblicato il 20 novembre in vista della Giornata mondiale del ricordo delle vittime della transfobia (Trans Day or Remembrance), ricorrenza introdotta da Gwendolyn Ann Smith, attivista trans, nel 1999 a seguito dell’omicidio di Rita Hester, una donna trans di colore, morta a soli 25 anni l’anno prima a Boston, per cui nessuno fu mai condannato. Ciò che portò Smith ad istituirla fu principalmente il modo in cui i giornali trattarono la notizia: eliminando completamente la sua identità trans* e parlandone al maschile.
“La stigmatizzazione e la discriminazione contro le persone trans e gender diverse (non-binary ed intersessuale) è vera e profonda nel mondo, e sono parte di un ciclo strutturale e continuo di oppressione che ci priva dei nostri diritti fondamentali. Le persone trans e gender diverse sono vittime di orribili crimini d’odio, tra cui l’estorsione, l’aggressione fisica, lo stupro e l’omicidio. Nella maggior parte dei paesi, i dati sulle persone trans e gender diverse uccise non sono raccolti sistematicamente ed è impossibile stimare il numero effettivo di casi.
“La violenza contro le persone trans e gender diverse spesso si sovrappone ad altre asce di oppressione prevalenti nella società, come il razzismo, il sessismo, la xenofobia e l’odio verso i professionisti del sesso e la discriminazione”.
Il Trans Murder Monitoring Project è un progetto di monitoraggio del gruppo Transrespect versus Transphobia Worldwide, fondato da Transgender Europe, fondato nel 2005 per unire gli attivisti trans di tutto il mondo: al momento conta 86 organizzazioni che collaborano in 42 paesi.