Il Punto Seriale – Baby

Se hai 16 anni e vivi nel quartiere più bello di Roma, sei fortunato.

Il nostro, è il migliore dei mondi possibili.

Siamo immersi in questo acquario bellissimo, ma sogniamo il mare.

Ecco perchè, per sopravvivere, abbiamo bisogno di una vita segreta.

Il fastidio. Altre parole non ci possono essere per descrivere la sensazione principale dopo aver finito di guardare ‘Baby’, nuova serie italiana in onda su Netflix. Ispirata al caso delle squillo adolescenti dei Parioli e pompata in maniera esagerata come se fosse un capolavoro. Salutato come la risposta del Bel Paese ai successi di ’13 reasons why’ ed ‘Élite’ , diciamo subito che sarebbe come paragonare Jim Morrison a Valerio Scanu: sì, il mestiere è lo stesso, ma i risultati stanno su due galassie opposte.

Perchè? Perchè nelle altre due serie si parlava sì di disagio giovanile, bullismo e droga, ma erano storie collaterali che servivano ad adornare dei solidi soggetti (un suicidio in ’13’ e un omicidio in ‘Élite’ ). In ‘Baby’, invece, non succede niente.
Ma andiamo con ordine, partendo dalla trama: Ludovica e Chiara sono del quartiere Parioli, la Roma Bene. Studentesse in un esclusivo liceo privato, si dividono tra sport, feste e qualche marachella all’acqua di rose. Spinte dalla noia e dalla prospettiva di guadagni facili, entrano in un giro di prostituzione. Lo sfondo è la sagra dello stereotipo e del già visto: padri menefreghisti, madri con doppie vite, il figlio gay del preside, il rampollo che spaccia, le sciacquette pettegole e poi corna, spinelli, musica trap, audio di WhattsApp e Instagram Stories come se non ci fosse un domani. Tutto molto piacione, per acchiappare i ‘ggiovani, sbandierando tra gli autori lo scrittore – rivelazione Giacomo Mazzariol (‘Mio fratello rincorre i dinosauri’) e piazzando alla fine pure un pezzo dei Måneskin.
E poi, che dire delle due protagoniste? Allacciate le cinture: una è bionda, dolce e insicura, l’altra è la moretta, più birichina e alternativa. Un minuto di silenzio per la morte dell’originalità.

Andando avanti con le puntate, ti aspetti un coup de théâtre: un evento che dia una svolta a tutta la storia. Invece, il nulla. Ma io mi chiedo: perchè fare una serie in cui non succede niente? Io vado sempre a fare la spesa, ma non è che Netflix senta il bisogno spasmodico di farci su 6 puntate con me che giro tra gli scaffali, tasto i peperoni, mi incazzo per aver speso troppo e torno a casa con le borse piene.
Volete raccontarci delle squillo parioline? Allora fate una sorta di documentario di un paio d’ore e ciao. Non fregiatevi di imbastire addirittura una serie basata sul niente e che, infatti, dura appena 6 puntate.
Discrete le due protagoniste, Benedetta Porcaroli e Alice Pagani: abbastanza espressive nei momenti di silenzio, molto più deboli quando aprono bocca, specialmente nelle scene di tensione, in cui i toni si fanno più accesi. Alle loro spalle una serie di ben più esperti colleghi come Galatea Ranzi (La grande bellezza), Isabella Ferrari (Saturno Contro), Claudia Pandolfi (Distretto di polizia, La prima cosa bella), Paolo Calabresi (Boris) e Tommaso Ragno (Il miracolo).

In definitiva: una colossale perdita di tempo, senza capo nè coda.
A ‘Baby’ mancano lo scheletro, la sostanza e soprattutto l’anima.
Se dovete sgomberare la cantina o far sverminare il gatto, fate una telefonata a Netflix: magari faranno una serie pure su di voi.
Ecco il trailer.
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Sciaouz!
Tracio

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