
La Corte Suprema degli Stati Uniti ha accettato la richiesta dell’amministrazione Trump di sollevare le ingiunzioni contro il transgender military ban, permettendo de facto che entri in vigore mentre le corti minori discutono sulla sua legittimità (processo che potrebbe durare anni).
La decisione della corte sul divieto, che prevede l’impossibilità di servire nell’esercito americano se si comincia il processo di transizione, non è un’ordinanza, ma ha aperto la strada all’esercito, che ora ha la possibilità di implementarlo fino al verdetto finale. La decisione è passata con 5 voti a favore, tutti del partito repubblicano, e 4 contro dei giudici Stephen Breyer, Ruth Bader Ginsburg, Sonia Sotomayor e Elena Kegan.
L’amministrazione ha anche chiesto di accelerare la discussione nelle corti minori, ma la Corte non si è espressa a riguardo.
Le motivazioni della Casa Bianca sono principalmente di matrice economica, infatti sostengono che l’esercito investa buona parte dei propri fondi per pagare i processi di transizione dei propri soldati e che quei soldi potrebbero essere trasferiti per la costruzione del muro al confine col Messico: in realtà non soltanto si tratta solo di $2.2 milioni (su $5 miliardi stimati dall’amministrazione per la sua costruzione), ma la componente transgender dell’esercito americano non è decisiva, comprendendo solamente 8 980 soldati (secondo i dati del Dipartimento di Difesa); la seconda motivazione riguarderebbe il rendimento dell’esercito, che secondo loro sarebbe minata dalla presenza di soldati transgender, nonostante la completa mancanza di dati che possano provarlo, e la possibilità da parte dei generali di poter porre limiti a chi possa entrare nell’esercito e chi no.
Carla Gleason, portavoce del Pentagono, ha dichiarato che l’esercito tratta tutte le persone trans* con rispetto e dignità e che la decisione fosse stata presa sulla base di un giudizio professionale, “la proposta di legge non è un divieto al servizio militare per le persone transgender. È cruciale che al Dipartimento di Difesa sia permesso di implementare politiche in materia di personale che ritiene essere necessarie per ottenere la forza combattente più letale ed efficace nel mondo”.
A riguardo per il Dipartimento di Giustizia si è espressa Kerri Kupec, che si è detta contenta che la Corte Suprema abbia “spianato la strada” all’amministrazione, “Il nostro esercito è stato costretto a mantenere in vigore una previa decisione che costituisce un rischio per l’efficienza e la letalità militare per più di un anno”.
“Permettere che il trans military ban di Trump e Pence entri in vigore danneggia i soldati transgender in servizio attivo e la nostra sicurezza nazionale. Combatteremo contro questo divieto discriminatorio e dannoso finché non sarà completamente sconfitto” ha invece commentato Chad Griffin, scorso presidente della Human Rights Campaign.
Tra i moltissimi attivisti e soldati che si sono espressi contro questa decisione anche Andy Blevins, direttore genereale di OutServe SLDN, un’organizzazione militare LGBT: “Per gli ultimi due anni e mezzo, migliaia di individui transgender qualificati hanno migliorato le nostre truppe, in ogni qualità misurabile, con il loro servizio autentico. La decisione della corte di permettere all’amministrazione Trump-Pence di istituire le loro pratiche discriminatorie mentre il processo continua è deludente – i nostri fratelli e sorelle nell’esercito meritano di più. Siamo ansiosi di continuare a rappresentare questi patrioti orgogliosi ed altruisti, e di ricordare a questa amministrazione che le politiche militari non possono essere decise da razionalizzazioni senza basi e discriminatorie”.
Il divieto è in fieri dal 2017 ed è stato fortemente criticato sin dall’inizio. Un mese dopo il primo annuncio Trump ha pubblicato un memorandum per cui il servizio militare da parte di soldati transgender sarebbe terminato all’inizio del 2018, ma prima che potesse entrare in vigore una corte statunitense si è pronunciata contro il divieto ed un giudice ha sostenuto la necessità di permettere ai cittadini trans di entrare nell’esercito. Il divieto è stato poi riproposto a marzo in una versione più blanda e le corti minori stanno ancora discutendo sulle ingiunzioni mosse contro di esso.