
Chi non si ammala di covid-19 si ammala di solitudine. Soprattutto per chi vive solo, il rischio di (tornare a) cadere in depressione è dietro l’angolo.
La solitudine può essere pericolosa. Non solo perché rischia di tirare fuori il peggio di noi, ma anche perché può spingere il cervello a (ri)pensare cose estremamente negative. Tuttavia può anche essere un’occasione per rivedere le nostre priorità e convinzioni. Non potendo fare molto chiusi in casa, possiamo scegliere di riflettere con attenzione e consapevolezza piuttosto che farci trascinare dai nostri soliti pensieri automatici e ricorrenti.
Noi persone Lgbt+ siamo forse più “abituate” a stare sole, isolate. Molti di noi hanno sviluppato una serie di anticorpi all’isolamento e alla solitudine già durante la preadolescenza e l’adolescenza. Non che agli etero sia andata necessariamente meglio, sia chiaro. Ma quando eravamo costretti a nascondere il nostro orientamento sessuale, ci sentivamo espulsi da un mondo che girava mentre noi lo guardavamo da un oblò.

In quegli anni, tantissimi di noi elaboravano pensieri tutt’altro che positivi e ottimistici, tanto da aver pensato di farla finita più e più volte. Oggi magari per molti non è più così, ma di certo non per tutti. Per quanto le cose siano cambiate e siano stati fatti numerosi progressi, secondo diverse statistiche e indagini recenti, anche adesso, nel terzo millennio, il tasso degli adolescenti non eterosessuali che soffre di depressione e ha pensieri suicidi è più del doppio rispetto ai coetanei etero. Esistono infatti ancora numerose realtà in cui non è possibile essere Lgbt e vivere serenamente la propria esistenza.
Giovani o meno giovani, ancora troppi di noi hanno un terribile rapporto con la solitudine e in alcuni casi c’è seriamente da preoccuparsi. In qualità di life coach in questi giorni ricevo non pochi messaggi di uomini e ragazzi gay che, costretti a vivere l’isolamento in casa con genitori omofobi o in luoghi come caserme militari, mi confessano di avere pensieri pericolosamente negativi.
Quel che rispondo loro è di cercare di arginare questo sentimento di solitudine con distrazioni varie, in primis i social. Se e quando la solitudine diventa insopportabile, un minimo di contatto umano (seppur virtuale) con qualcuno che parli la nostra stessa lingua è l’unica soluzione.

Non abbiate paura di chiedere aiuto, di riconoscere che state attraversando un momento profondamente doloroso. Non vergognatevi di ammettere di essere tristi, di sentirvi spaventati, depressi. Parlatene, sfogatevi, poco importa se non conoscete chi c’è dall’altra parte dello schermo. Non chiudetevi ulteriormente a riccio, tanto non aiuterà. Anzi, probabilmente peggiorerà solo le cose.
Ricordatevi però che, come tutte le cose al mondo, anche questo brutto momento passerà. E chissà che non ne usciremo tutti con tanti nuovi “amici” che da virtuali diventeranno reali. È quello che spero e che auguro a chiunque stia sopravvivendo a questa solitudine innaturale ma per il momento inevitabile. So come ci si sente perché l’ho provato sulla mia pelle da ragazzo. E so che se ne può uscire, ma non da soli.
Alessandro Cozzolino, life coach