
‘Una risata ci salverà’
Ne è fermamente convinto lo scrittore francese Daniel Pennac, autore della meravigliosa saga dei Malaussène.
Semplice, ma efficace. In questo momento di grande difficoltà, è fondamentale farci una bella risata per stemperare la tensione che respiriamo quotidianamente. E la Rete è fonte inesauribile di evasioni.
In questi giorni, sta imperversando sui social con un divertentissimo video sugli effetti prolungati e ‘arcobaleno’ di questa infinita quarantena, e magari siete stati colpiti dalla sua avvenenza, unita a uno humor diretto, sagace e autoironico.
Ma Lorenzo Balducci, romano D.O.C. classe 1982, è molto di più.
Dopo il debutto teatrale nel ‘Romeo e Giulietta‘ accanto a Myriam Catania, per il giovane Lorenzo si spalancano le porte del cinema italiano e internazionale, alla corte di registi del calibro di Carlos Saura (‘Io, Don Giovanni’), Pupi Avati (‘I cavalieri che fecero l’impresa’, ‘Il cuore altrove’) e Carlo Verdone (‘Ma che colpa abbiamo noi’)
Estremamente attivo sia sul fronte cinematografico che su quello televisivo, ha avuto anche l’onore di vestire i panni di Mario de’ Medici, nella prestigiosa fiction ‘I Medici’, accanto a Richard Madden e Dustin Hoffman.
La sua ultima apparizione è a teatro, nello spettacolo di Luciano Melchionna, ‘Spoglia – Toy’, in scena a Torino e a Roma.
Un artista a 360°, insomma, a cui diamo il benvenuto sul pianeta Il PuntoH!
Partiamo dalla tua performance più recente diventata virale in un battibaleno. Come ti è venuta l’idea di testimoniare il degenero verso cui i vari flashmob sui balconi stanno andando?
L’idea per il video mi è venuta osservando il fenomeno dei balconi. Da che era partito come un contributo molto emozionante, è poi diventato tante altre cose: dal grottesco all’estremo. In quel momento, mi si è accesa la lampadina in testa e lì il mio interesse si è sviluppato in un attimo. Ho voluto sintetizzare tutta la sua evoluzione: dalla persona che batte semplicemente le mani, fino alle esibizioni di Lady Gaga e di Elettra Lamborghini. Ovviamente, per come giro i miei video, c’è una parte di realtà e poi ce n’è una che la supera, tra l’altro ho visto anche Elettra Lamborghini fare la sua performance. Il punto è il voler rappresentare come si arriva a estremizzarsi, partendo da un’idea che nasce in maniera del tutto spontanea e bella. L’ho creato un po’ dopo l’esplosione del trend perchè, proprio il giorno in cui avrei dovuto iniziare a girarlo, erano uscite le immagini dei camion che lasciavano Bergamo portando le salme dei morti delle vittime del Covid – 19. Lì ho pensato che un video del genere fosse fuori luogo, e mi sono dato del tempo. Ho capito l’importanza di volere e dovere continuare a vivere e, nel mio piccolo di artista, ho voluto dare sfogo alla mia creatività. Ovviamente con grandissimo rispetto nei confronti di chi sta subendo questa tragedia, c’è anche tanta gente che combatte chiusa in casa ad aspettare. Infatti ho cambiato il finale, rendendolo più malinconico rispetto a quella che era l’idea originale. Dobbiamo andare avanti a vivere, per noi e per gli altri. Mi sono detto che era importante dare un contributo che andasse a toccare le corde della leggerezza. In questo momento storico, ne abbiamo tutti bisogno.
Nel tuo ultimo video, invece, mostri gioie e dolori della convivenza forzata con un gay, ce ne vuoi parlare?
Più che nel video precedente, qui c’è una estremizzazione grottesca della visione del mondo LGBT. Mostro quello che deve fronteggiare una donna eterosessuale alle prese con un coinquilino omosessuale, che impone la sua ingombrante e teatrale presenza in ogni frangente della giornata. Spero che vi piaccia!
Anche tu, come tutti noi, sei in quarantena. Quali ripercussioni sta avendo sulla tua privata e professionale?
Sento molto le ripercussioni sulla mia vita professionale, come tutti. Da attore, non sto lavorando. Avrei dovuto debuttare il 26 marzo con ‘Lo zoo di vetro’ al teatro Marconi, diretto da Claudio Boccaccini. Lo faremo in futuro ma, ovviamente, non sappiamo ancora quando. A luglio avrei anche dovuto girare in Polonia un film inglese. Spero che per allora sarà tutto passato, ma è stato comunque slittato a dopo l’estate. Ora come ora si tratta di avere molta pazienza. Io sto continuando a memorizzare ‘Lo zoo di vetro’. Anche se non abbiamo date certe, compatibilmente con le disponibilità dei teatri. Il continuare a studiare e avere un impegno e non fermarmi, per me è importante, per stare mentalmente bene e avere sempre il cervello in movimento. Per quanto riguarda la vita privata, come tutti, sento la mancanza delle persone, del sesso, dei miei affetti. Mi manca la libertà di uscire, fermo restando che sono un privilegiato, avendo una casa e una famiglia presente alle spalle. E’ dura riuscire a restare centrati su noi stessi.
Sei molto attivo sui tuoi canali social, dove pubblichi prettamente testimonianze dei tuoi lavori, ma anche momenti della tua vita privata. Che feedback hai dai tuoi followers?
Per me l’uso dei social è legato alla possibilità di liberare quella parte di me che, attraverso i miei lavori, ovviamente non può uscire. Quello che faccio come attore è molto diverso dal quello che sono quando giro uno dei miei video. Lì posso sfogare la mia anima più comica, demenziale e queer. Posso sprigionare tutta la mia fantasia e l’enorme ammirazione che ho per l’universo LGBT. Nonostante abbia interpretato molte volte dei personaggi omosessuali, ovviamente mi dovevo attenere a dei copioni ben precisi. Nei miei video sono libero. E i feedback sono ottimi. Mi piace quando il pubblico coglie il mio umorismo. La gioia più grande è conoscere persone che apprezzano la mia libertà di espressione e il mio desiderio di raccontarmi senza filtri e senza paura di venire giudicato.
Ma veniamo alla tua carriera. Che cosa ti ha spinto a diventare un attore? E quali messaggi vuoi far veicolare attraverso il tuo lavoro?
Ho capito di voler fare questo lavoro fin da bambino. Guardavo i film e gli sceneggiati e mi innamoravo all’istante. Volevo entrare in quei mondi, insieme a quei personaggi e vivere le loro avventure. Non era semplice passione, ma una vera e propria esigenza di appartenere a un altro universo, nonostante fossi molto timido, e forse in virtù di questo, desideravo evadere dalla realtà. A 14 anni ho iniziato il mio primo laboratorio di teatro, proseguito per 3 anni, e non mi sono più fermato. Non direi di avere un vero e proprio messaggio. Non credo sia tanto importante quello che fai, ma come lo fai. Mi è capitato spessissimo di lavorare come cameriere, quando non avevo ingaggi come attore. Lo faccio da una decina di anni. E’ un lavoro che ami e che odii, dipende dai momenti. Ma l’importante per me è lavorare bene: la passione e la determinazione con cui si fanno le cose sono fondamentali, questo per qualunque mestiere si faccia.
Il tuo debutto a teatro, come protagonista di ‘Romeo e Giulietta’, è stato un vero esordio nell’Olimpo dell’arte. Cosa ricordi di quella esperienza? E che cosa ti ha insegnato?
Avevo appena compiuto 19 anni, il regista era Claudio Boccaccini. Ero un ragazzino al primo lavoro teatrale e terrorizzato all’idea di lavorare con esordienti come me, ma anche con grandi professionisti come Myriam Catania, che interpretava la mia Giulietta. Di lei ho un bellissimo ricordo, mi sentivo protetto e trascinato dalla sua incredibile energia. Siamo stati in scena per un mese intero, e ho imparato davvero a essere un professionista. Ascoltare le indicazioni del regista e interpretare ogni sera lo stesso copione senza farlo diventare routine. Vivere sempre ogni emozione. Ancora adesso, non posso fare a meno della magia del teatro. Il terrore che ti pervade poco prima di salire sul palco e la nostalgia che ti avvolge appena scendi, sono indescrivibili.
Numerosissime le tue apparizioni cinematografiche e le lodi pubbliche che ti sono state rivolte dai tuoi registi, in particolar modo Verdone e Avati, con il quale hai girato due film. Come ti sei trovato a lavorare con due celebri autori del cinema italiano? Timore reverenziale oppure grande voglia di stupire?
Ovviamente timore reverenziale! Avevo circa 20 anni, i ruoli erano piccoli e da un lato è stato un bene a livello di responsabilità e tensione. Ma ovviamente il timore c’era: quando sei sul set e ascolti le loro indicazioni, sei molto concentrato. Non vuoi rovinare il lavoro degli altri e non far perdere tempo a nessuno. Pensi che tutti siano pronti a fare quello che devono fare e tu ti senti quello più ‘indietro’. Carlo Verdone è un uomo estremamente gentile e serio, in ‘Ma che colpa abbiamo noi’ interpretavo suo figlio, quindi ero sempre in scena con lui. E’ un vero professionista. In generale, mi sentivo come a scuola: dovevo sempre tenere alta la tensione per dare il meglio di me e non sprecare una grandissima opportunità.
Sei molto attivo anche in campo internazionale. Che differenze hai colto tra il modo di lavorare degli artisti internazionali rispetto a quelli italiani?
Mi è capitato di lavorare due volte in Francia. In particolare nel film a tematica omosessuale ‘I Testimoni’ di André Téchiné, con Emmanuelle Béart e Michel Blanc, ho imparato moltissimo. Lì il terrore era alle stelle: mi trovavo al cospetto di un regista rinomato, molto educato, ma altrettanto esigente. E con due star del calibro di Michel Blanc, una persona estremamente umile e simpatica, ed Emmanuelle Béart, cortese ma con un’allure da diva che trasmetteva con un semplice sguardo. Diciamo che non era una con cui ti mettevi a scherzare su set! In generale, ho notato una grandissima precisione tecnica. Avverti proprio la grande macchina del cinema che procede a tutto gas senza il minimo intoppo. Ho lavorato anche in Spagna con Carlos Saura e mi sono davvero sentito a casa. Amo tutto di quel paese: la lingua, la gente, l’atmosfera. Ho vissuto a Madrid per 3 anni e la porto nel cuore. C’è una magia legata ai set stranieri, rispetto a quelli italiani: avverti l’emozione di incontrare una cultura diversa dalla tua, nonostante le similitudini siano moltissime perchè, alla fine, si gira pur sempre un film.
Da attore, quali sono i tuoi modelli? Chi sono gli attori che ammiri e a cui ti ispiri?
Leonardo DiCaprio ha segnato la mia crescita. Ammiravo e ammiro tuttora quello che fa. Soprattutto nei suoi primi film, era in grado di sbalordirmi con il suo sconfinato talento. Trovo straordinari anche Ewan McGregor e Joaquin Phoenix: ‘Joker’ è forse il picco della sua carriera, ma ha sempre dato prove di essere un attore di razza, in ogni suo film. Sento enormemente la mancanza di Robin Williams. Mi ha sempre affascinato: oltre al suo talento straordinario, aveva un qualcosa in grado di catturarmi. Gli volevo bene come se facesse realmente parte della mia vita. Aveva questo sguardo malinconico che me lo faceva amare davvero.
Nel corso della tua carriera, hai dimostrato di sentirti a tuo agio con scene di nudo. E sei anche arrivato ad avere un rapporto sessuale con un melone nel film spagnolo del 2014 ‘Stella cadente’, che narra la vita di Amedeo Di Savoia e diventato un vero e proprio cult della scena LGBT. Come hai affrontato questa famosa scena? E ha avuto conseguenze sulla tua carriera?
Questo film è stata una delle esperienze più forti, perchè arrivata in un momento particolare della mia vita: ero stanco dell’Italia in quel preciso momento storico, così ero partito per New York, per poi spostarmi in Messico quando arriva la chiamata del regista che mi aveva visto nella pellicola di Carlos Saura. Questa scena, inizialmente non era nella sceneggiatura originale. Quando il regista mi telefona e me la spiega: l’assistente del re taglia in due un melone e ha un rapporto sessuale con lui. Mi ha chiesto se volevo usare una controfigura o, addirittura, una protesi, ma ci tenevo a farla io: non avrei mai accettato di perdere questa sfaccettatura del mio personaggio; era una grande sfida. E poi questa scena ha un significato: in quella successiva, il melone viene servito all’ignaro re. Per girarla, presi un Viagra prima delle riprese, ma senza successo. Era mattina presto, sul set c’erano la troupe e il regista, ero molto intimidito. Al grido ‘azione’, qualcosa dentro di me ha fatto click. L’idea di condividere una cosa così provocatoria davanti a un pubblico, mi ha fatto crescere l’eccitazione che mi ha permesso di girare al meglio la mia scena. Non mi chiedo se ha avuto ripercussioni sulla mia carriera e non mi interessa. Ho ricevuto solo complimenti, quindi va benissimo così!
Nel marzo 2012 hai pubblicamente fatto coming out sulle pagine de Il Venerdì di Repubblica. Da lì hai sempre tenuto a chiarire quali fossero le tue idee sui diritti dei gay. Sei cresciuto negli anni 80, come trovi sia evoluta da allora la condizione degli omosessuali nel nostro paese? E come potremmo ancora fare passi avanti?
Prima di quello pubblico, ovviamente, c’era stato quello privato, con i miei genitori, mio fratello e i miei due migliori amici. Pensavo che non avrei mai avuto il coraggio di fare una cosa del genere. In primis con i miei genitori, figuriamoci poi a mezzo stampa! Ero molto spaventato, ma dichiararti ti dona coraggio, forza e determinazione. Il pericolo peggiore è l’ignoranza, e a causa sua avevo timore. Ma c’è stato un momento in cui ho capito che questa paura non aveva motivo di esistere. In maniera diversa per ognuno di noi, ma a un certo punto qualcosa scatta e compi un gesto forte e liberatorio che ti rende libero. Non so se questo mi ha precluso delle occasioni lavorative e non me lo chiedo: l’essere coerente con me stesso, ciò che sono e ciò in cui credo, è la cosa più importante. Se ho avuto il coraggio, è perchè qualcuno me lo ha dato. Ecco, vorrei essere quel tipo di riferimento a cui ogni ragazzo spaventato possa guardare e magari prendere come esempio. Bisogna sostenere la battaglia costante e infinita che stiamo facendo. Abbiamo fatto molti passi avanti, ma siamo anche un paese che non ha una legge contro l’omotransfobia, ed è assurdo. I casi di violenza ci sono, sono continui e se ne parla troppo poco.
Serve subito una legge contro l’omotransfobia, per poterci definire una società civile. Bisogna educare fin da piccole le persone al rispetto per ogni tipo di diversità e imparare a vederla come qualcosa di prezioso. Educare i bambini in questa direzione è fondamentale, certo devono fare la loro parte anche i genitori. Perchè la scuola può dirti una cosa, ma se a casa i bambini vedono l’esatto contrario, non serve a nulla.
Che cosa ha in serbo per noi Lorenzo Balducci nel futuro?
Eh, questa è una bella domanda! Normalmente, si darebbe una semplice risposta. Invece, in questo momento, il futuro è davvero incerto. Ovviamente usciremo da questa situazione, ma il punto è come e quali saranno le ripercussioni sulle nostre vite e su come questa terribile esperienza condizionerà noi tutti. Come ti dicevo prima, ho due progetti in ballo: uno teatrale e uno cinematografico, a tematica LGBT. Purtroppo non posso parlarne molto, ma ti posso dire che è una bellissima storia che affronta la bisessualità, che è una realtà molto spesso dimenticata sullo schermo. Poi ci sarebbe il mio grande sogno: ho scritto insieme al mio carissimo amico Simone Pitorri, una sceneggiatura di una serie corale a tematica LGBT di cui vorrei essere regista e uno degli interpreti, dal momento che uno dei personaggi è costruito praticamente su di me. Chissà!
C’è una domanda alla quale muori dalla voglia di rispondere ma nessuno ti ha mai fatto?
Ahahahah! Queste sono le domande che mi mettono in crisi, perchè dovresti dire qualcosa di figo e interessante, altrimenti…
D’accordo, ti faccio un potentissimo coming out: quale sogno avresti voluto realizzare fino in fondo, ma non l’hai fatto? Fare la drag queen! Ho profondissimi amore e rispetto per il mondo drag e il sogno di entrarvi è ancora oggi vivo e pulsante in me.
E chissà, allora, se un giorno vedremo questo splendido uomo en travesti!
Al termine di questa piacevolissima chiacchierata, ci siamo resi conto che Lorenzo Balducci non è solo un istrionico ed eccentrico videomaker, ma un artista libero e fiero di ciò che è e di quello che fa.
Un esempio bello, pulito e solido, non solo per la nostra comunità.
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Sciaouz!
Tracio