30 anni fa l’OMS cancellava l'omosessualità dalla lista delle malattie

Trent’anni dopo, sappiamo che la malattia è l’omotransfobia. Ma non abbiamo una legge che ci tuteli, anzi. Per l’italiano omofobo, maschilista e patriarcale — bianco, etero e cattolico — va benissimo così.

Partiamo da un fatto: la nostra è una società maschilista e patriarcale di stampo cattolico. Questo implica che se non sei maschio, eterosessuale e cattolico, in qualche modo non vai bene. Se non vai bene, la parte meno evoluta della società dà il meglio di sé attivando quella componente di violenza e odio insita nell’essere umano.
I target da colpire sono sempre le minoranze, è facile prendersela con chi è numericamente inferiore o fisicamente meno forte. Le donne tecnicamente non sarebbero una minoranza, ma sono femmine. Secondo l’imperante maschilismo patriarcale, la donna è un essere inferiore cui competono mansioni ben specifiche ed esclusive. I maschi pensano e agiscono in un modo, le donne in un altro. Chi non si comporta secondo questi dettami, non va bene. E se non vai bene, la gente ti si scaglia contro perché devi essere punito in qualche modo.
Noi non eterosessuali siamo una minoranza. Che ci piaccia o no, siamo quelli che vivono sotto un unico grande arcobaleno che abbraccia tutte le persone LGBTQ+ (lesbiche, gay, bisessuali, transessuali, queer e tutte le altre che non si identificano nell’eterosessualità). Abbraccia anche gli etero, ovviamente, e chi non vuole essere abbracciato perché non si identifica nell’etichetta LBGTQ+. Di questo parlerò dopo; prima mi interessa precisare alcune cose.
In presenza e nei confronti di persone non eterosessuali, molti avvertono una particolare avversione, accompagnata da un’ingiustificata ripugnanza che si chiama omofobia (più correttamente, omobitransfobia). Si tratta di una malattia mentale che ti fa credere che gli omosessuali siano persone in qualche modo sbagliate, da evitare, condannare, punire solo per il fatto di non essere eterosessuali. Individui di serie B, viziosi, malati, perversi, contro natura, promiscui, abominevoli, colpevoli di sciagure e tragedie globali.
Attenzione. L’omofobia non è una fobia. È un disturbo che fortunatamente si può curare. È quanto è emerso da diversi studi ma a distanza di 30 anni da quel 17 maggio 1990 (quando finalmente l’Organizzazione Mondiale della Sanità si decise a depennare l’omosessualità dalla lista delle malattie mentali) in Italia non è stato fatto granché per sconfiggere l’omofobia, anzi. Nel 1972 l’American Psychiatric Association aveva già stabilito di escludere l’omosessualità dall’elenco delle patologie. Quasi due decenni dopo l’OMS arrivava a concordare che l’omosessualità non è altro che “una variante naturale del comportamento sessuale”. Punto.
Chiunque sostenga il contrario o qualcosa di diverso (“Sì, ma…”) andrebbe solo zittito. Eppure qui da noi, non pochi tra politici, giornalisti, personaggi dello spettacolo, pseudo guru della famiglia e gentaglia varia continuano indisturbati a diffondere ignoranza, odio e pregiudizio. La politica, ovviamente, non aiuta. “Una legge contro l’omofobia? Non è una priorità, ora l’Italia ha problemi più urgenti da risolvere”. Sono 42 anni che sento sempre le stesse parole. 
L’omosessualità è sempre stata “normale”, l’omofobia no. In natura, la prima esiste, la seconda no. Sappiamo cosa accadeva un tempo nell’antica Grecia (più o meno quello che accade oggi a Mykonos d’estate). Poi è arrivata la Chiesa e ha rovinato la festa. Le persone non eterosessuali (insieme ai mancini, le donne con i capelli rossi — guarda caso sempre minoranze) venivano derise, umiliate, offese, mandate al rogo, lapidate.

Oggi sappiamo che essere gay o mancini o avere i capelli rossi o tutt’e tre le cose insieme, non significa nulla perché, sarà pure singolare, ma tutto sommato “è normale”. È la natura che sceglie certe combinazioni, non c’è niente di sbagliato. Tuttavia, ancora oggi, nel 2020, la cronaca con una certa frequenza racconta di gay, lesbiche, queer e trans vittime di discriminazione, odio e violenza.  
L’omofobia è l’ideologia che pretende di giustificare che gli omosessuali subiscano violenza, fisica ma soprattutto psicologica. È un pregiudizio che affonda le radici nella religione, nel maschilismo, nell’incapacità di accettare il diverso. In particolare, l’omosessuale maschio effeminato infastidisce oltremisura perché il femminile è roba da serie B. Se hai avuto la fortuna e l’onore di nascere maschio, come osi spogliarti della tua virilità e fare la femminuccia? Sei maschio e come tale sei nato per penetrare, non per essere penetrato. Lo pensano anche diverse donne, non ci facciamo mancare niente.
Da piccoli abbiamo respirato così tanto eterosessisimo e omofobia che oggi è pieno di omosessuali che “si vergognano” di altri omosessuali più visibili e riconoscibili secondo il classico stereotipo del gay effeminato, magari esperto di moda e bon ton. È pieno di gay che non si riconoscono nell’acronimo LGBTQ+, che disprezzano l’attivismo, che sminuiscono le opinioni e l’operato di altri gay, che votano Salvini e Meloni (che “non sono omofobi, ma” non concepiscono la famiglia arcobaleno, il pride, le adozioni…), che se sei passivo, sei più gay di un attivo. Chi ha queste convinzioni e si riconosce in una certa fazione politica, chi si è dimenticato quando da ragazzino veniva discriminato e ora discrimina, soffre di omofobia interiorizzata ma fa fatica a riconoscerlo perché non ne è consapevole. 
Maschilismo e omofobia da sempre camminano mano nella mano. Se a farlo sono due maschi, tutti giù a ridere. O su a menarli. Tutti per fortuna no, ma in molte zone d’Italia e del mondo, probabilmente sì, tutti o quasi. Il punto è che non basta la giornata contro l’omofobia per mettere a tacere gli omofobi. Serve un lavoro educativo costante e continuo. 

Serve che ciascun omosessuale educhi l’ambiente dentro cui si muove, 365 giorni l’anno. In famiglia, a lavoro, in vacanza, in palestra, tra gli amici, i colleghi, i conoscenti, i vicini di casa. Se invece di nascondersi, gli omosessuali si facessero conoscere per quello che sono, se mostrassero alla gente di essere persone “normali”, con una vita “normale” pur essendo diversi – perché la diversità stessa è “normale” – se ci spogliassimo delle nostre vergogne, paure e fobie, vivremmo tutti meglio alla luce del sole. Solo così la gente comprenderebbe l’assurdità dei propri pregiudizi omofobici e che l’omosessualità altro non è che “una variante naturale del comportamento sessuale”, ripetiamolo tutti insieme a voce alta. 
Ovviamente, omofobia e sessuofobia sono congiunte. Gli omosessuali con omofobia interiorizzata in genere sono anche parecchio sessuofobi, oltre che ipocriti. Sono quelli che condannano chi ha una vita sessuale “troppo” attiva, chi ha gusti particolari a letto, chi pratica un certo tipo di giochi e via discorrendo. Sono i Ratzinger che nei gay vedono l’Anticristo. Non potrebbero vedere altro, dato che religione, sessuofobia e omofobia sono come padre, figlio e spirito santo. Siccome di innaturale c’è solo la castità (infatti, dopo un po’ non reggono più e devono trovarsi da scopare pure loro, giustamente), in uno stato laico sarebbe opportuno evitare di dare spazio e risonanza a bigotti medievali, attaccati a convinzioni folli e alimentati a perfidia e ipocrisia. 
Siamo il Paese di Pulcinella, nel bene e nel male. La Giornata Internazionale contro l’Omotransfobia fa sicuramente la sua (piccola) parte. È una giornata importante ma da sola non basta. Occorre che ciascuno faccia il suo, tutti i giorni. Non abbiate paura di essere chi siete, persone LGBTQ+. Non siamo nati per nasconderci né per ferirci a vicenda. Ormai, da oltre trent’anni, non siamo più noi quelli che si devono vergognare. 
Alessandro Cozzolino, LGBTQ+ coach

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *